MINORI PESTANO 50ENNE A TREVISO: COSA È SUCCESSO E PERCHÈ IL PADRE DEL BULLO LO HA INVITATO A CENA

Di brutte storie purtroppo ci stiamo “abituando”: quando però nel buio più cupo una “lieve” luce di speranza emerge occorre sempre evitare trionfalismi o “buonismi” vari. Come insegna il caso di Treviso, l’aderenza alla realtà è sempre il miglior viatico possibile: e così accade che un 50enne pestato brutalmente da due ragazzini minorenni venga invitato a cena dal padre di uno dei due bulli come gesto di solidarietà. E se già fin qui si tratterebbe di un “unicum”, il fatto che Luca Gobbo, l’uomo preso a calci e pugni dai minorenni, abbia accettato rende questa storia ancora più insolita.



A raccontarlo oggi “Il Gazzettino” dopo la brutta aggressione avvenuta la sera dello scorso 5 aprile: mentre il 50enne si trovava in Galleria Rialto a Treviso è stato sorpreso nel più classico del “luogo sbagliato nel momento sbagliato. In sostanza, una donna di passaggio si è messa a rimproverare i due ragazzini – un 17enne e un 15enne – che in sella alle bici l’avevano sfiorata di poco mentre sfrecciavano in mezzo alla gente. Lei rimproverava, loro la insultavano e riprendevano con il cellulare: è quei che entra in scena Gobbo il quale a sua volta li ha sgridati fermandosi davanti a loro. Secondo quanto riporta l’ANSA, i minorenni hanno cominciato a prenderlo a male parole sferrando poi anche calci e pugni senza sosta: «In due contro uno. Mi hanno tirato una serie di pugni e schiaffi centrandomi in faccia e mi hanno aggredito fino a buttarmi a terra. Si sono quindi accaniti colpendomi ovunque, soprattutto in testa con i calci. E mi hanno scagliato addosso un bidone dell’immondizia», raccontava l’uomo al “Messaggero”. Se il 17enne è stato arrestato per violenza e resistenza a pubblico ufficiale, l’amico 15enne è rimasto “solo” denunciato per gli stessi reati. Già a caldo ai giornalisti giunti sul posto il padre di quel bullo disperato ribadiva, «Vorrei fare tanto ma non so più cosa fare».



LO “STRANO” CASO DI TREVISO: UNA (POSSIBILE) SPERANZA DENTRO AL BULLISMO

Qualcosa però poi gli è venuto in mente e da qui l’invito a cena per la vittima 50enne in casa di uno dei suoi “carnefici”: e a sorpresa Luca Gobbo accetta, «Per me sarebbe bellissimo poterlo vedere e capire cosa gli è saltato per la testa. Anch’io sono padre e l’ultima cosa che vorrei vedere è un ragazzo che perde le redini della sua vita». Al “Gazzettino” l’uomo racconta dello stupore nel ricevere quell’invito così “inaudito” e inaspettato: «Il papà del ragazzetto che mi ha pestato è di una gentilezza disarmante. È proprio una brava persona». Addirittura il giorno della rissa era stato lo stesso padre del 17enne – rivela ancora Gobbo – a pregarlo di chiamare i carabinieri, «mi ha detto esattamente “Faccia quello che deve fare”, come se cercasse un’ancora di salvezza nelle forze dell’ordine per raddrizzare una situazione che non riesce più a gestire».



Tra circa un mesto quando sarà di ritorno a Treviso (abita in Svizzera, ndr), Gobbo andrà a cena a casa loro per conoscere il figlio che lo pestato, per provare a capire da dove venga quell’odio così “banale” e illogico: «Per me sarebbe bellissimo. I giovani vanno raddrizzati e quell’anima va recuperata. Anche per i genitori che, credo, stiano facendo il possibile per quel figlio che ha preso da tempo una brutta strada. Mi piacerebbe parlargli e capire che è pronto a cambiare e a pagare il suo prezzo alla giustizia». Da padre, Gobbo accetta per guardare in faccio quel ragazzino: accetta anche perché davanti è rimasto spiazzato dall’umanità semplice di quel papà disperato per il futuro del proprio ragazzo. Disperato non solo per quello che potrebbe combinare ad altri, ma per il suo destino di persona. A fare impressione è poi anche il dialogo avvenuto tra papà e figlio in questura negli scorsi giorni, dopo il pestaggio (riportato sempre dal “Gazzettino” da Gobbo): «Quando mi ha telefonato mi ha detto che aveva visto il figlio in Questura e che il ragazzo gli aveva detto “Sono stanco, papi”. E poi gli ha chiesto come stava la persona che aveva malmenato». Quell’uomo in quel figlio “stanco” ci ha visto un ragazzo quantomeno diverso, «o almeno ci spera tanto». E così il 50enne che ha rimediato ferite ed escoriazioni da quell’atto di bullismo, dice di «non avere rancore» e si porta comunque dietro – paradossalmente – una luce nuova, una piccola ma esistente speranza: «quel papà ha visto una scintilla di speranza. Il figlio era esausto. Forse si renderà conto di cosa ha combinato. E forse la sofferenza che ho letto in quella famiglia potrà alleviarsi un po’». Niente “voli pindarici”, niente questioni “strappalacrime”, solo aderenza alla realtà, aderenza ad un possibile risvolto positivo dove di norma invece trionferebbe acredine e “vendetta”.