Sono molti, fra le nazioni occidentali, coloro che stanno puntando il dito nei confronti della Cina, colpevole a loro modo di vedere, di aver nascosto in qualche modo l’epidemia di coronavirus, o comunque, di averne sottostimato la portata. A riguardo il tabloid britannico Daily Mail, fra i più letti oltre Manica, sottolinea come la maggior parte dei cinesi che per primi al mondo hanno gridato quanto il covid-19 fosse pericoloso, siano morti misteriosamente o scomparsi. Si pensi ad esempio a Fang Bing, uomo d’affari che per primo pubblicò un video in cui mostrava cadaveri ammucchiati fuori da un ospedale. Poche ore dopo la pubblicazione del filmato, il suo ufficio venne perquisito, e lui interrogato. Non spaventato Fang decise di pubblicare un altro video/denuncia una settimana dopo, (era il 9 febbraio): è scomparso da due mesi. Come scrive il Mail, il pover Fang rappresenterebbe soltanto una delle 5.100 persone che sono state arrestate per aver condiviso informazioni ritenute vietate nelle prime settimane di gennaio, quando cioè il covid-19 era ancora sconosciuto, e così doveva restare.



5100 SCOMPARSI IN CINA: PECHINO RESPINGE OGNI ACCUSA

I dissidenti, scrive il Mail, vengono definiti malati, di modo che il governo possa metterli in quarantena obbligandoli a restare isolati dal resto del mondo. Nel contempo, vengono sfruttate le app per il tracciamento medico, per tracciare in realtà gli spostamenti delle persone, tenendole ulteriormente sotto controllo. Una repressione senza precedenti, a cominciare dal medico che viene già definito un martire, il 34enne Li Wenliang, quello che per primo sottolineò mesi or-sono il rischio di un epidemia: era il 30 dicembre e Li ebbe la colpa di inviare un messaggio d’allarme ai compagni di medicina, informandoli circa lo scoppio di una malattia tipo la Sars nell’ospedale di Wuhan. Il 7 febbraio il povero Li morì a causa del coronavirus, provocando indignazione non soltanto in Cina ma in tutto il mondo. Il giorno prima della morte del dotto Li, era scomparso l’avvocato Chen Qiushi, colpevole di aver condiviso scene di caos all’ospedale di Wuhan. Tre settimane più tardi era toccato ad un giornalista della tv di stato cinese, il 25enne Li Zehua, colpevole anch’egli di aver “mostrato troppo”. Come loro ve ne sono altri 5100, ma ovviamente il governo cinese rimanda al mittente ogni accusa, respingendo la questione insabbiamento, e spiegando di aver agito sempre alla luce del sole.

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