Nel 2023 i numeri della popolazione residente in Italia in condizioni di povertà assoluta – 5,7 milioni di persone e 2,2 milioni di famiglie – sono rimasti stabili rispetto all’anno precedente. L’indagine sull’andamento della povertà in Italia pubblicata ieri dall’Istat conferma le anticipazioni comunicate nel mese di marzo u.s. anche per le famiglie e le persone a rischio di impoverimento (rispettivamente 2,8 milioni per 8,5 milioni di individui).



Il numero delle persone povere non si riduce nonostante la crescita dell’occupazione (+2,1%) rispetto al 2022, per l’impatto negativo dell’inflazione (+6,5%) superiore di 1,5 punti rispetto all’incremento reale della spesa per i consumi vitali delle famiglie italiane meno abbienti. L’incidenza della povertà sul totale delle famiglie residenti si conferma più elevata nelle regioni del Sud e delle Isole (10,2%), rispetto a quelle del Nord (7,9%) e del Centro Italia (6,7%). Si riduce nel mezzogiorno il numero di quelle povere (-130 mila), mentre aumenta di una cifra analoga nelle regioni del Nord-Ovest.



L’esposizione alle condizioni di povertà continua a essere rilevante per la quota della popolazione di origine straniera – 1,7 milioni di persone e 644 mila famiglie (rispettivamente il 35,1% e il 30,4% sul totale di quelle povere) -, con una incidenza superiore di 4 volte rispetto a quelle degli italiani. Rimane preoccupante per la componente dei minori – 1,293 milioni (14,1% rispetto alla media del 9,7% su tutte le persone) . e per le 748 mila famiglie che li hanno a carico. In particolare per i nuclei familiare con più di 3 figli (18% rispetto alla media dell’8,4%). L’incidenza della povertà risulta superiore anche per le persone poco istruite (13%) e per i lavoratori dipendenti e assimilati (16,5%).



I numeri contenuti nell’indagine dell’Istat sono destinati a riattivare le polemiche sulla riforma del Reddito di cittadinanza (Rdc) e sulla presunta riduzione del numero dei beneficiari dei sussidi al reddito generata dalla riforma approvata dal Parlamento, entrata a regime nel 2024 con l’introduzione due nuove misure (Assegno di inclusione e Supporto per la formazione e il lavoro). La tendenza alla riduzione del numero dei percettori del Rdc era già in atto nel 2023 come conseguenza del rinnovo delle domande e della registrazione postuma nelle dichiarazioni Isee degli incrementi dei redditi derivanti dalla ripresa dell’economia e dell’occupazione in uscita dalla pandemia Covid-19. Incrementi nominali che, nelle rilevazioni dell’Istat. sono risultati inferiori di circa due punti rispetto a quelli dei prezzi finali per la quota della popolazione meno abbiente.

Di conseguenza, la mancata indicizzazione delle soglie dei redditi Isee per beneficiare del Rdc e delle nuove misure della riforma ha compromesso la possibile partecipazione di un numero non marginale di famiglie povere. Infatti, la riduzione delle domande accolte si è registrata in particolare nelle aree territoriali del Nord Italia caratterizzate dalla crescita del numero dei lavoratori poveri, in particolare di origine straniera, e da costi della vita superiori a quelli della media nazionale.

La necessità di aggiornare i requisiti dei redditi Isee per la partecipazione alle nuove misure per il contrasto della povertà era stata sollecitata dal Comitato scientifico, nominato dal ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, per valutare l’efficacia del Rdc. La relazione finale del Comitato, pubblicata nel mese di giugno u.s., ha evidenziato una serie di limiti strutturali del Rdc che non hanno consentito di finalizzare le risorse per ridurre in modo efficace i livelli di povertà. In particolare: la penalizzazione dei requisiti di partecipazione e di integrazione al reddito per le famiglie con figli a carico e l’impatto negativo del vincolo decennale della residenza per la partecipazione degli immigrati. L’analisi del Comitato scientifico ha attenzionato anche la limitata partecipazione alle misure di una quota rilevante delle persone povere stimate dall’Istat (circa il 40%) e il numero, pressoché analogo, di beneficiari del Rdc che non riscontrava le condizioni di povertà assoluta per la sottostima dei redditi reali dichiarati nelle certificazioni Isee allegate alle domande inoltrate all’Inps.

Le due misure introdotte con la riforma (Adi e Sfl) tendono ad indirizzare le risorse verso i soggetti più fragili e a rendere più stringenti i vincoli per la partecipazione alle iniziative finalizzate all’inserimento lavorativo per gli adulti in età di lavoro. Sono misure che prestano attenzione all’esigenza di ridurre i comportamenti opportunistici e di correggere alcune iniquità. L’efficacia di queste misure dovrà essere valutata sulla base dei risultati ottenuti. Ma l’approccio italiano in tema di politiche rivolte a prevenire e a contrastare la povertà continua a risentire di tre limiti. Primo, sottovaluta l’esigenza di aumentare il numero degli occupati per rafforzare l’entità dei redditi familiari: nove punti in meno di tasso di occupazione rispetto alla media europea equivalgono a circa 3 milioni di mancati contribuenti alla formazione dei redditi dei nuclei e una maggiore esposizione al rischio di impoverimento per quelli monoreddito. La seconda carenza è rappresentata dall’incapacità di valutare l’efficacia della spesa finalizzata a tale scopo. Per i sostegni ai bassi redditi lo Stato italiano ha destinato più di 700 miliardi di euro di risorse pubbliche aggiuntive negli ultimi 15 anni ottenendo risultati opposti a quelli desiderati. Infine, alla crescita del numero dei poveri concorrono diversi fenomeni derivanti dalle specifiche condizioni di disagio personale e dei nuclei familiari. Una parte delle quali, ad esempio le dipendenze da alcool, stupefacenti e gioco, sconsigliano una terapia basata sull’erogazione dei sussidi finanziari.

Il modello italiano del reddito di ultima istanza continua a essere caratterizzato da una scarsa partecipazione delle persone povere, ma da un rilevante impiego di risorse finanziarie per cercare di prevenire e contrastare la povertà.

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