Il dato emerso da una recentissima indagine statistica effettuata da Eurispes afferma che tre italiani su quattro si dicono favorevoli all’eutanasia. Un dato che può sorprendere molte persone, ma che appare invece come l’esito naturale di un martellamento ideologico iniziato con la vicenda Englaro. Lo confermano in modo quasi inesorabile tutte le tappe che abbiamo vissuto dopo la morte di Eluana, in una sorta di staffetta che non ha conosciuto soste di nessun tipo.
Un piccolo gruppo di opinion leader, per lo più di matrice radicale, ha continuato a proporre l’eutanasia come unica soluzione possibile per affrontare dignitosamente la morte. A livello parlamentare sono stati proposti disegni di legge, per lo più in area Pd-M5s, l’attuale maggioranza di governo, che ne chiedono la piena legalizzazione. D’altra parte era questa la volontà, più o meno esplicita, del Parlamento, quando alla fine della legislatura precedente approvò la legge sulle Dat, nonostante un gruppo di parlamentari ne denunciasse coraggiosamente la deriva proprio in senso eutanasico. Ma allora si trattava di eutanasia passiva, di rifiuto delle cure salvavita e dell’omologazione della nutrizione e idratazione a trattamenti di tipo medico, a cui il paziente poteva rinunciare quando e come voleva, pur sapendo di andare incontro a morte certa. E la stessa Corte Costituzionale lo scorso anno, intervenendo a favore della vicenda Cappato, non potè fare a meno di riconoscere che quella legge conteneva in sé tutte le premesse per approdare a scelte di tipo eutanasico.
Oggi però il sondaggio Eurispes fa un passo avanti e ci dice che gli italiani sono favorevoli anche all’eutanasia attiva: chiedono che si possa morire esattamente come è accaduto nel caso di Dj Fabo e nell’intera vicenda Cappato, prendendo un farmaco letale.
Il fatto è che in questi ultimi dieci anni, con maggiore frequenza in questi mesi, gli italiani sono stati esposti ad una narrazione continua di casi drammatici presentati con insistenza all’opinione pubblica, in tanti modi diversi: dalla grande stampa alla tv, parlando sempre e solo di persone schiacciate da un dolore insopportabile e da una sofferenza senza speranza. Raramente si è parlato delle migliaia di persone che negli hospice, nell’assistenza domiciliare, in alcuni reparti ospedalieri, chiedono ai medici di poter vivere, il più dignitosamente possibile, allontanando il dolore con tutti i mezzi attualmente disponibili, ma senza anticipare la morte, rispettando i tempi della vita da condividere con le persone care e con gli affetti personali più profondi.
La stampa ha dato spazio pressoché unicamente a chi voleva morire, trasformando i pochi casi di coloro che volevano morire in una richiesta massiccia. Eurispes non ha certamente interpellato i medici dei tanti hospice che ancora oggi dicono di non aver mai ricevuto richieste da parte di chi voleva la morte, ma sempre e solo da parte di chi voleva vivere il meglio possibile, nella situazione in cui comunque era.
L’eutanasia in Italia oggi è illegale, ma secondo Eurispes il 75,2% degli intervistati ha detto sì all’introduzione dell’eutanasia nelle sue diverse forme e il consenso degli italiani sembra cresciuto di 20 punti percentuali negli ultimi cinque anni. La stessa inchiesta parla della caduta di un altro tabù culturale, per cui nel 2020 il 73,8% degli italiani si sarebbe detto favorevole anche al testamento biologico, cosa del tutto lecita, ma anche del tutto ignorata dalla maggior parte della gente, che non ha assolutamente fatto testamento negli ultimi 30 mesi: ossia da quando è comunque lecito, perfettamente legale, prendere una decisione preventiva sul proprio destino, e indicare quali esami, terapie o trattamenti sanitari subire qualora in futuro si rivelassero necessari e la persona non fosse in grado di intendere e di volere. Come dire: posso farlo, ma non ho sentito nessun bisogno di farlo!
Si ha l’idea che tutto ruoti intorno ad una piccola cabina di regia che decide cosa gli italiani vogliono e utilizza tutti gli strumenti per convincerli a dire che è esattamente ciò che loro liberamente, con deliberato consenso, vogliono. Quindi allo Stato non resta altro che concedere ciò che viene richiesto. Eurispes è un ente di ricerca serio, ma sarebbe interessante conoscere non solo i risultati dell’indagine, ma anche come erano confezionate le domande e come era costruito il campione.
Secondo Marco Cappato “Che i cittadini italiani siano più aperti del ceto politico sui temi delle libertà civili non è una novità. Ciò che accade su eutanasia e fine vita dovrebbe però destare particolare allarme per la condizione di marginalità nella quale versa il Parlamento italiano”. In realtà la vera preoccupazione è un’altra. Nella scorsa legislatura furono Pd e M5s a votare massicciamente la legge sulle Dat, con tutta la sua insidiosa ambiguità. Il timore vero è che, essendo ora maggioranza di governo, siano tentati di fare un blitz approvando una legge esplicitamente eutanasica, che non ritengo affatto condivisa dal 75% degli italiani. E, se ciò dovesse accadere, faremo la nostra battaglia culturale dentro e fuori dal Parlamento, per sottolineare come gli italiani invece vogliano vivere e lottino per vivere. Ce lo ha ricordato la recente vicenda Covid-19 e ci ha mostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, quanto sia profondo l’attaccamento alla vita. Sperando di essere allora più incisivi e più efficaci di quanto non siamo riusciti a fare in occasione legge sulle Dat, in cui forse la parola eutanasia non appare, mentre il suo fantasma aleggia in tutti gli articoli, anche a detta della Corte Costituzionale.
Il timore è che la sentenza della Corte costituzionale, ritenendo “non punibile” chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile”, abbia accelerato questo processo culturale filo-eutanasico e abbia ribaltato l’articolo 2 della nostra Carta Costituzionale che mette al centro la persona umana, e non solo la sua volontà, e nello stesso tempo impone a tutti gli altri cittadini doveri inderogabili di solidarietà.
La sentenza della Corte evidentemente non ha considerato un dovere sociale impedire sempre e ovunque l’uccisione di un essere umano e in questo senso ha contribuito a trasformare il senso di pietas con cui ognuno si accosta al dolore di una persona facendosene carico con la maggiore solidarietà possibile, in un generico rispetto per la sua volontà, che non tocca la sfera della nostra intimità e della nostra umanità. A questo punto la pietas può accontentarsi di fare da taxi-service e accompagnare una persona a morire magari all’estero, o addirittura, come sembra suggerire l’attuale inchiesta, fornirgli un farmaco letale in un improbabile fai-da-te che scarica la coscienza, di chi preferisce restare ai margini del dolore altrui.