“Per alcuni prodotti, dai latticini alla pasta, siamo ormai arrivati alla terza richiesta di incremento dei listini: la prima a inizio anno è stata già superata da una seconda, arrivata quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina, ma oggi, dopo quasi due mesi di guerra, dai produttori ne abbiamo ricevuta una terza”.
Una corsa ai rincari che secondo Giorgio Santambrogio, amministratore delegato del Gruppo VéGé, potrebbe portare “per la prima volta dopo decenni a un’inflazione a due cifre”. Ma per il mondo della distribuzione, che attraverso le iniziative promozionali cercherà di non far ricadere tutta questa spinta inflattiva sul potere d’acquisto delle famiglie, il vero guaio è un altro: “Abbiamo chiesto al governo di adottare alcune misure, ma non abbiamo ricevuto alcuna risposta. Non ci dà proprio ascolto”.
Davanti all’aumento dei costi energetici e delle materie prime, lamentato da oltre 9 imprese su 10, la revisione dei prezzi di vendita sembra rappresentare la prima via d’uscita: la pensa così ben l’87% delle aziende interpellate dall’Osservatorio Packaging del Largo Consumo di Nomisma. Rincari in vista, ormai inevitabili?
Sì. A livello di centrale, noi abbiamo ricevuto aumenti da 830 fornitori per diverse migliaia di prodotti. Da quasi tutte le imprese produttrici siamo alla richiesta di un doppio o triplo incremento.
Che cosa vuol dire?
L’aumento di inizio 2022 è già stato disdettato da un ulteriore aumento richiesto prima dell’inizio della guerra in Ucraina. E adesso sta arrivando un terzo aumento di listino.
Quali categorie di prodotti sono colpite da questi incrementi in serie?
Sono categorie variegate: latticini, formaggi, prosciutti, pasta secca, pasta fresca…
Quanto fa paura l’inflazione?
Il mio timore è che non potremo scaricare ovviamente tutti questi rincari a valle, sarebbe impensabile, ma potrebbero esserci le prime avvisaglie di un’inflazione che per alcune categorie, per la prima volta dopo decenni, sarà a due cifre.
Che strategie siete pronti a mettere in campo per contenere questi rincari e aiutare il potere d’acquisto delle famiglie?
Innanzitutto, cercheremo di differenziare, lavorando sui prezzi intra-categorie. In pratica, se su alcune particolari tipologie di pasta dovremo aumentare il listino, su altre cercheremo di non farlo. In secondo luogo, proveremo a procrastinare gli aumenti. Terzo, negozieremo su alcuni di questi rincari. Infine, là dove si accetteranno questi aumenti, provvederemo a stilare, insieme all’industria, un piano di attività promozionali che possano mitigare per il cliente finale gli aumenti base.
Quanto si fa sentire il caro energia sui vostri costi?
E’ rimasto inalterato, non è diminuito. Tanto che continuo con insistenza a chiedere al governo che tramite un Dpcm possa consentire anche alle aziende della distribuzione di usufruire degli sgravi fiscali concessi ai settori energivori. Pur essendo energivori, non siamo presenti in questo elenco. Ma noi non abbiamo alcuna possibilità di diminuire i consumi di energia, anzi con l’arrivo dell’estate non possiamo minimamente interrompere la catena del freddo né l’uso dei condizionatori.
Approvvigionamenti e scorte: ci sono problemi per le catene di distribuzione?
Purtroppo sì. Vedo molto complicato il comparto del lattiero-caseario, in cui potremmo andare incontro a possibili carenze di latte. Non dobbiamo fare i conti solo con una dinamica inflattiva, ma anche con la prospettiva di una mancanza di prodotti a scaffale, contestuale a una diminuzione delle vendite, perché il cliente, avendo aspettative di alta inflazione, compra di meno. A impensierirci è proprio il combinato disposto di tutto questo.
Non ci sono solo inflazione e guerra, ma è stato lanciato anche un allarme siccità: che impatto sta avendo?
Per ora nessun impatto. Però è vero che in questo frangente ci manca solo l’invasione delle cavallette…
Un italiano su tre è ponto a ridurre lo scontrino della spesa: con il protrarsi della guerra in Ucraina i consumatori hanno già cambiato le loro abitudini? Comprano lo stretto necessario?
Diciamo che comprano diminuendo di categoria, cioè all’interno della medesima categoria preferiscono un prodotto di qualità inferiore. Non solo: potrebbero passare sempre più dal prodotto di marca a quella del distributore, che garantisce la stessa qualità ma con differenziali di prezzo del 20-25% in meno. Temiamo però che i clienti possano riversarsi verso i discount, sebbene in questi punti vendita l’inflazione sia già al 5%, quindi superiore rispetto alle altre forme distributive. Anche i discount non riescono più a star dietro agli incrementi dei costi fissi, che incidono maggiormente nei prodotti a più basso valore.
Ci sono prodotti a cui gli italiani cominciano a rinunciare?
Non ancora. Come ieri, nel lockdown, sembrava che tutti fossero diventati cuochi a casa loro e che il lievito fosse diventato il prodotto iconico della distribuzione italiana, così oggi non è che tutti si mettono a usare l’olio di semi… E’ vero che ce n’è un po’ di meno e quindi costa di più, ma non è che la gente ne faccia a meno. E’ un falso mito da sfatare.
Anche la corsa a fare scorte è un falso mito?
Non assistiamo ad alcun assalto ai forni di manzoniana memoria.
Guardando avanti: sarà un autunno difficile sul fronte dei consumi?
Sì, anche se il taglio dello scontrino non sarà maggiore rispetto a oggi, resterà inalterato. Ma lo scenario peggiore sarebbe l’arrivo della stagflazione.
Si può quantificare di quanto le famiglie italiane hanno ridotto lo scontrino della spesa?
Difficile dirlo. A fronte di un calo dei consumi del 2% in volumi, abbiamo però un aumento inflattivo, oggi al 4%, che ci fa recuperare in termini di valore.
E sul fronte dell’offerta?
Il mio vero timore è l’incapacità di molti attori della filiera, sia a livello industriale che a livello distributivo, di rimanere efficienti e quindi di poter restare sul mercato. Gli aumenti generalizzati dei costi potrebbero far sì che si verifichi una morìa di aziende inefficienti, che non riescono a reggere l’urto di questa prolungata tempesta perfetta.
Che misure vi aspettate dal governo?
Tre cose: primo, essere inseriti fra i settori energivori; secondo, diminuire temporaneamente l’Iva al 4% sui beni essenziali, mossa che non va a incidere in modo negativo sugli introiti fiscali, perché le dinamiche inflattive ne consentono il pieno recupero; terzo, tagliare il cuneo fiscale per dare, a parità di costi per le imprese, più soldi in busta paga ai dipendenti. Ma le chiediamo invano.
Perché?
Perché il governo non ci dà risposte. La distribuzione, da sola, dà valore aggiunto al sistema paese e la filiera ancora di più: abbiamo avanzato queste richieste come comparto nel suo insieme, ma finora non abbiamo ottenuto alcun riscontro, né un sì né un no. Questo è il vero guaio.
(Marco Biscella)
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