Da una fregata tedesca (la Hessen, dislocata nel Mar Rosso e inquadrata nella missione Aspides) sono partiti due missili antiaerei diretti contro un drone in avvicinamento, del quale nessuna delle forze alleate aveva dato avviso, e che quindi era stato ritenuto ostile. Peccato che quel drone fosse statunitense, un Reaper, teleguidato da chissà dove in un’operazione imprecisata, evidentemente non sotto il controllo delle forze statunitensi nell’area. I missili tedeschi, però, fortunatamente (in questo caso) sono precipitati in mare, sembra per un non meglio giustificato malfunzionamento. Pericolo scongiurato, stavolta, in un incidente che però evidenzia almeno due aspetti non trascurabili.



Il primo: in uno scenario di guerra fluido e frammentato, che vede in azione forze multibandiera, il coordinamento tra le stesse diventa fondamentale, per evitare incidenti e fuoco amico. In questo caso, per di più, si tratta della promiscuità di missioni diverse (l’europea Aspides e le angloamericane Prosperity Guardian, votata alla difesa aerea, e Poseidon Archer, concentrata negli attacchi sugli obiettivi yemeniti), a guida diversa, ma con finalità per gran parte simili. È ancora più complicato, allora, distinguere competenze, raggi di manovra e interdizione, regole d’ingaggio, segnalazioni IIF (Identification Friend or Foe), che se non chiare possono innescare iniziative letali.



Il secondo: la malriuscita missione dei missili tedeschi fanno ipotizzare qualche problema nell’arsenale dell’unità della Marina o nell’adeguatezza dell’addestramento dei soldati imbarcati, anche se il viceammiraglio tedesco Jan Christian Kaack ha difeso sia i sistemi che gli specialisti di bordo, entrambi già rodati nel quadrante (pochi giorni fa la Hessen aveva rilevato e colpito con successo due droni armati, effettivamente lanciati dagli Houthi). Una difesa d’ufficio, ovviamente, che potrebbe tentare di nascondere invece le falle di cui sopra. Anche perché la Hessen conta su MK. 41 VLS Tattico con 32 celle per 24 missili terra-aria SM-2 Block IIIA e 32 RIM-162 ESSM (quad-pack per cella) e due lanciatori RAM con 21 missili terra-aria CIWS ciascuno: una dotazione standard, basata su modelli datati ma completamente aggiornati. Così come aggiornate sembrano essere le competenze dell’equipaggio, addestrato in frequentissime esercitazioni.



L’incidente, dunque, sembra imputabile al fatto che il Mar Rosso è super affollato di unità militari con bandiere diverse ma senza l’unicità di comando. E anche la missione europea Aspides, che pure vede già schierate le unità di Italia (il cacciatorpediniere lanciamissili Caio Duilio), Francia (le fregate Languedoc e Alsace, già entrate in azione), Germania (appunto la Hessen, che ha già sparato), Grecia (la fregata Hydra) e Danimarca (la fregata HDMS Iver Huitfeldt), per ora è senza governo, visto che i 200 marinai a bordo dell’ammiraglia italiana incaricata del comando (la Duilio, con il contrammiraglio Federico Costantino) sono ancora in attesa del via libera del parlamento, che inizierà la discussione al Senato solo martedì prossimo, dopo che proprio l’Italia s’era battuta a Bruxelles per accelerare l’ok alla missione (già ratificato da tutti gli altri governi coinvolti). Un super affollamento, un’overforces in ordine sparso e parzialmente già operativa ma senza controllo, o meglio con ogni unità che risponde solo alla propria catena di comando nazionale. Il tutto accentua l’asimmetricità della guerra in corso tra golfo di Aden, stretto di Bab el-Mandeb e Mar Rosso, dove la superiorità tecnologica dell’Occidente si sta comunque rivelando inefficace a soffocare gli attacchi yemeniti alle navi in transito. Gli Houthi non si fermano, nemmeno dopo aver tranciato i cavi in fibra ottica sottomarini che uniscono Europa e Asia (un sabotaggio di cui loro negano la paternità, in un perdurare della controinformazione imparata a Teheran): anche ieri hanno cercato di colpire con missili, droni e barchini esplosivi telecomandati i mercantili a largo delle coste yemenite, attacchi respinti dalla reazione dell’Us Navy.

La libertà dei mari, insomma, è sempre più a rischio. Shipping Italy informa che “il continuo conflitto tra Ucraina e Russia, così come i diversi episodi di guerra in Medio Oriente, hanno indotto gli armatori, i noleggiatori e gli operatori di navi a prestare estrema cautela per i viaggi che attraversano quelle regioni, che il Joint War Committee (JWC) ha definito ad alta probabilità di guerra, pirateria o terrorismo. Il navigare in un’area considerata a rischio guerra dal JWC comporta la necessità per gli armatori di avvisare, in anticipo, i propri assicuratori H&M, Rischi Guerra e P&I (protezione e indennità) dato che per tali aree ci potrebbero essere esclusioni e la richiesta di premi addizionali. La maggior parte delle assicurazioni marittime esclude espressamente la copertura dei Rischi Guerra (War Risks)”. Da qui la scelta di molte compagnie di lasciare la rotta per Suez e rassegnarsi a circumnavigare l’Africa, con conseguenti ritardi negli approvvigionamenti e lievitazione dei costi, che tutti saremo chiamati a pagare.

Gioiscono gli Houthi, che con i loro attacchi nel Mar Rosso hanno assunto la guida della causa palestinese e dell’antiamericanismo in tutta la regione, anche oltre i perimetri che gli iraniani avevano costruito per loro. “L’avanzamento delle capacità militari degli Houthi non sarebbe stato possibile senza il sostegno iraniano- sostengono i ricercatori di ISPI -. Tuttavia, la loro posizione imbaldanzita e ancora autonoma potrebbe diventare problematica per l’Iran”. Una “baldanza” che si suppone accentuata dalle immagini della Rubymar, la nave cargo (bandiera del Belize, proprietà inglese) attaccata dagli Houthi il 18 febbraio, che si è inabissata nei pressi delle isole di Hanish, l’arcipelago Zuqur Hānīsh, nel Mar Rosso, tra le coste dell’Eritrea e dello Yemen, due Paesi che se ne contendono la giurisdizione. La nave ha lasciato in ricordo una chiazza di petrolio lunga una trentina di chilometri, tanto che il governo yemenita (quello riconosciuto a livello internazionale, che ormai però rappresenta ben poco del Paese, in buona parte controllato dai ribelli Houthi) ha lanciato l’allarme per un praticamente certo disastro ambientale.

Un cortocircuito (dallo Yemen è partito il razzo – non intercettato – che ha fatto affondare il cargo, ma saranno proprio le coste yemenite a pagare il prezzo più alto della conseguente chiazza nera) che restituisce il quadro della schizofrenica situazione nella regione, un caos in cui i terroristi fanno comunque lievitare la loro fama.

 

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