I responsabili della strage di Capaci: chi furono?
C’è un unico grande responsabile dietro la strage di Capaci del 23 maggio 1992 nella quale persero la vita il magistrato Giovanni Falcone, e con lui la moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta: Cosa Nostra. Quello che accadde sul tratto di autostrada A29 tre minuti prima delle 18.00 fu un vero e proprio attentato di stampo terroristico-mafioso deciso nei minimi dettagli nel corso di una riunione della “Commissione interprovinciale” di Cosa Nostra che si tenne nei pressi di Enna tra settembre e dicembre dell’anno precedente e presieduta boss Totò Riina. Inizialmente quest’ultimo inviò a Roma un commando di mafiosi – tra cui Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro – che avrebbero dovuto uccidere Falcone ed altri obiettivi con l’uso di armi da fuoco, ma successivamente li richiamò in Sicilia intenzionato a compiere l’attentato a Falcone con l’uso di esplosivo.
Durante le riunioni seguenti della Commissione provinciale, Giovanni Brusca fu scelto con il compito di coordinare i dettagli di tutte le operazioni legate alla strage di Capaci. Fu quindi Brusca a ragionare sulle modalità di impiego dell’esplosivo e un mese prima della strage eseguì una prova nei pressi di Altofonte applicando gli stessi strumenti poi adoperati a Capaci.
Responsabili strage Capaci: sopralluoghi e prove
I successivi sopralluoghi precedenti alla strage di Capaci videro tra gli altri responsabili i mafiosi Salvatore Biondino, Raffaele Ganci e Salvatore Cancemi i quali individuarono il luogo adatto per l’attentato. In contemporanea, ad Altofonte si radunarono altri mafiosi del calibro di Giovanni Brusca e Leoluca Bagarella, per mettere a punto tutto ciò che aveva a che fare con l’esplosivo. Alle prove dei congegni elettrici presero parte Brusca, La Barbera, Di Matteo, Ferrante, Troìa, Biondino e Rampulla.
Furono diversi i soggetti responsabili della strage di Capaci: il 23 maggio fu Domenico Ganci ad avvertire telefonicamente la partenza delle auto che sarebbero dovuto andare a prendere Falcone in aeroporto, prima Ferrante e poi La Barbera. Ferrante e Biondo dopo aver visto uscire le auto dall’aeroporto allertarono La Barbera che seguì il corteo blindato restando in contatto telefonico per alcuni minuti con Gioè, appostato con Brusca su una collinetta sopra Capaci. Fu Gioè a dare l’ok a Brusca che a sua volta attivò il radiotelecomando il quale provocò l’esplosione drammatica.
Le indagini e le condanne
Le prime indagini sulla strage di Capaci identificarono subito alcuni dei responsabili tra cui Antonino Gioè, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera: mentre il primo si suicidò in cella, gli altri due decisero di collaborare svelando i nomi degli altri esecutori. Il processo per la strage di Capaci che prese il via nel 1995 vide quasi 40 imputati. Due anni dopo furono condannati all’ergastolo e ritenuti responsabili dell’attentato a Falcone, alla moglie ed alla scorta: Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Leoluca Bagarella, Raffaele e Domenico Ganci, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Giuseppe Calò, Filippo e Giuseppe Graviano, Michelangelo La Barbera, Salvatore e Giuseppe Montalto, Matteo Motisi, Pietro Rampulla, Bernardo Provenzano, Benedetto Spera, Antonino Troia, Benedetto Santapaola e Giuseppe Madonia. Diverse le assoluzioni ed altrettanto i pentiti che ottennero una riduzione della pena.
In Cassazione, tuttavia, nel 2002 furono annullate le condanne a carico di Pietro Aglieri, Salvatore Buscemi, Giuseppe Calò, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Francesco Madonia, Giuseppe Madonia, Giuseppe e Salvatore Montalto, Matteo Motisi e Benedetto Spera. Le parole del pentito Spatuzza, nel 2008, diedero il via a nuove indagini ed al processo ‘Capaci bis’ che si concluse nel 2016 con l’ergastolo a Madonia, Lo Nigro, Pizzo e Tinnirello.
La tesi di Report su Capaci: il presunto coinvolgimento dei neofascisti
Venendo ai giorni nostri, il programma di inchiesta “Report” ha annunciato una possibile svolta nelle indagini sui mandanti della Strage di Capaci, tirando in ballo gli ambienti del neofascismo come possibile “anello di congiunzione” tra quello che erano la Mafia e lo Stato ad inizio anni Novanta.
Nella puntata in onda lunedì 23 maggio viene esposta la “tesi” di Sigfrido Ranucci e dell’autore dell’inchiesta Paolo Mondani: vengono citati i contenuti di informative di polizia, dichiarazioni di pentiti ascoltate in altri processi e parole inedite di testimoni. In sostanza, un pentito accusa Stefano Delle Chiaie – ex capo di Avanguardia Nazionale – come presente sul luogo della strage qualche settimana prima per un presunto “sopralluogo”. Delle Chiaie – spiegano a “Report”, poi ripresi da “Il Fatto Quotidiano” e “Domani” – avrebbe incontrato il boss Mariano Tullio Troia: secondo quanto spiega a “Report” la compagna di Alberto lo Cicero, autista e guardaspalle del boss soprannominato “U’Mussulini, Delle Chiaie sarebbe stato «l’aggancio fra mafia e lo Stato spedito in Sicilia con il mandato di quelli di Roma» (questo avrebbe raccontato Lo Cicero alla stessa compagna, poi intervistata dalla trasmissione di Rai 3). Sempre nella puntata di “Report”, l’ex brigadiere Walter Giustini – il contatto di Lo Cicero all’epoca delle Stragi – racconta di come l’informatore aveva messo le forze dell’ordine sulla strada corretta per catturare Totò Riina già nel 1991, prima della strage contro Giovanni Falcone e 2 anni in anticipo rispetto all’effettivo arresto. (A cura di Niccolò Magnani)
Oggi scopriamo che gli uomini dell’eversione di destra, dei depistaggi degli apparati deviati dello Stato, della massoneria piduista potrebbero non essere estranei ai morti di trenta anni fa. E dei mandanti cominciamo a scorgere l’identikit.
Lunedì a #Report su #Rai3? pic.twitter.com/XGRW7ZlxnB— Report (@reportrai3) May 19, 2022