Una visita periodica, di routine, ma che serve per fare il punto sul PNRR italiano. La Commissione europea verifica lo stato di attuazione del piano cercando di mettere a fuoco tappe, strategie, messa a terra delle risorse finanziarie che hanno avuto il placet UE. Quello che ne emerge è un quadro positivo per certi versi, ma che evidenzia anche criticità in termini di risposta dell’amministrazione pubblica, con autorizzazioni lente e pagamenti in ritardo. L’Italia si sta dando da fare, spiega Annalisa Giachi, responsabile Ricerche di Fondazione Promo PA e coordinatrice OReP, anche se ha spostato molti obiettivi nei prossimi anni: il rischio è che, dovendo realizzare troppi interventi entro il 2026, la macchina si ingolfi e non riesca più a rispettare le scadenze stabilite da Bruxelles. Per ora, comunque, il 57% delle gare sono state aggiudicate. Ora arriva la fase cruciale: le opere vanno terminate.



A che punto è l’Italia in questo momento dal punto di vista delle rate?

Siamo alla sesta rata, siamo entrati nel primo semestre 2024 e le rate, appunto, sono semestrali: una scade a fine giugno e l’altra, la settima, a fine anno. La situazione è positiva, ma va monitorata. Il 57% delle gare sono state aggiudicate, siamo quindi nella fase dei cantieri, di realizzazione delle opere. I soggetti attuatori più performanti sono gli enti locali, che hanno un tasso di aggiudicazione che supera il 60%, come le imprese che sono al 62,7%.



Ci sono già lavori conclusi?

Un esempio: abbiamo attivato un osservatorio su Roma per l’Ance; ad aprile il 75% delle risorse erano in fase di attuazione, con il 22% di cantieri aperti e l’11% di lavori conclusi. Una situazione abbastanza positiva.

La priorità però ora resta la definizione della sesta rata?

A giugno dobbiamo chiederne il pagamento: vale 9,2 miliardi di euro, con 39 obiettivi. La quinta rata non ce l’hanno ancora pagata. La sesta dobbiamo presentarla, ma non ci dovrebbero essere problemi: è una rata di passaggio, con obiettivi e target alla portata. Il problema è che con la revisione molti obiettivi sono stati spostati nel 2025 e nel 2026: avremo uno stress finanziario molto forte negli ultimi due anni. Nel 2026 ci sono 173 traguardi-obiettivi: tantissimo.



Gli obiettivi andranno realizzati entro quella scadenza?

Il rischio è di ingolfare la macchina, di avere un effetto imbuto. Anche dal punto di vista delle imprese: adesso nel PNRR vedono una grande occasione, ma bisogna vedere se il sistema economico terrà il passo. Tanti cantieri concentrati in un anno e mezzo costituiscono un grande sforzo.

Si comincia già anche a parlare di settima rata, che cosa riguarda?

La scadenza è a dicembre, sono 22 miliardi e 74 traguardi-obiettivi, ci stanno lavorando perché le cose non si realizzano in un giorno.

Cosa verificherà in particolare la Commissione europea, anche il RePowerEU?

È la missione 7 del PNRR: ci sono nuovi obiettivi da realizzare che riguardano la transizione green, in particolare la transizione 5.0, il piano per l’industria, 6,3 miliardi destinati alla transizione dei processi produttivi delle imprese. Qui ci sono stati tempi molto lunghi: il governo ci ha messo tanto a emanare i decreti attuativi, stanno uscendo adesso. Tutto ciò ha creato ritardi perché le imprese non hanno potuto programmare bene gli investimenti. In più c’è molta burocrazia associata all’erogazione dell’incentivo, il che è un bene per i controlli, ma rischia di rallentare il tutto. Ci sono anche altri grossi investimenti che riguardano le partecipate, l’Enel ad esempio. La Commissione ha considerato lo stato dell’arte della sesta e settima rata e ha cercato di capire su questo nuovo capitolo a che punto eravamo.

Le amministrazioni locali più virtuose hanno avanzato dubbi su alcuni tagli di spesa previsti dal governo che rischiano di penalizzare proprio gli enti che si sono mossi meglio. Un tema che è ancora sul tavolo?

Per le norme sulla spending review c’è stata una proposta secondo la quale gli enti che beneficiano di risorse del PNRR devono subire tagli maggiori sulla spesa corrente: insomma, un taglio ai Comuni che si sono comportati meglio. Per questo c’è stata una grande polemica. La logica, credo, sia: siccome hanno risorse PNRR possono risparmiare su altri fronti. Il problema è che il PNRR necessita anche di spesa corrente. Ti dà i soldi per costruire gli asili ma poi, per farli funzionare, bisogna assumere gli insegnanti, erogare i servizi. Accade anche per la sanità, per le case di comunità. Credo comunque che si troverà una soluzione.

Come sono i tempi di pagamento dei ministeri, ci sono state delle lamentele su questo?

Gli enti locali, una volta assodato lo stato di avanzamento dei lavori, possono presentare un rendiconto sulla piattaforma Regis per ottenere i soldi dai ministeri. Se realizzano il 30% dell’opera chiedono il corrispettivo per questa parte. I ministeri, tuttavia, ci mettono tanto a pagare, soprattutto se mancano dichiarazioni o documenti. C’è molta burocrazia e questo crea uno stress finanziario negli enti locali che devono anticipare le risorse. Il sistema è a performance: chi vuol realizzare un’opera apre il cantiere, paga i lavori, presenta un rendiconto con fatture e pagamenti effettuati e così ottiene i soldi da Roma. Dalle esperienze che abbiamo, i tempi di pagamento si aggirano intorno ai due mesi, se va bene. Ma possono passare anche tre o quattro mesi se ci sono problemi da risolvere.

Altro tema sono le autorizzazioni che le imprese devono chiedere per realizzare le loro opere. A che punto siamo qui?

Le aziende che devono realizzare impianti, ad esempio per la missione 2 relativa al ciclo dei rifiuti o per le energie rinnovabili, devono chiedere autorizzazioni agli enti locali. Nonostante numerose norme di semplificazione, come il silenzio-assenso e le autorizzazioni semplificate, le imprese dicono che i tempi sono ancora lunghi. E così hanno meno tempo per realizzare gli impianti. Ogni cantiere va chiuso prima della scadenza stabilita, i lavori vanno finiti entro il 2026 e in alcuni casi anche prima.

Quanti sono i soldi già pagati dai ministeri?

La spesa certificata dal governo, dato che si riferisce però a dicembre 2023, è di 42,9 miliardi. Soldi già corrisposti dai ministeri. Un quinto dell’ammontare complessivo del PNRR. Ma sono dati al ribasso, vengono dalla piattaforma Regis e a dicembre non tutti avevano pubblicato le spese aggiornate.

L’effetto sul PIL si dovrebbe cominciare a vedere?

Si comincerà a vedere qualcosa il prossimo anno, quando aumenteranno i cantieri chiusi. Il Governo nel DEF ha stimato un impatto sul PIL del 3,4% a fine 2026 se tutto il piano viene realizzato, che diventa 2,9% per l’Ufficio Parlamentare di Bilancio. Le previsioni sono fra il 2,4% e il 3,4%. Comunque sarebbe un buon risultato.

La DIA ha rilanciato l’allarme per un interesse delle mafie in relazione ai fondi PNRR, il sistema dei controlli come funziona?

Il sistema è molto articolato, ci sono controlli che ministeri ed enti locali portano avanti al loro interno, e altri esterni realizzati da prefetture e Corte dei Conti. Le prefetture hanno creato dei nuclei di controllo sugli investimenti. Ci sono verifiche preventive e successive, che riguardano le fasi di gara: bisogna presentare una documentazione antimafia e sull’assenza di conflitti di interessi. Una circolare della Ragioneria, la 13/2024, ha rafforzato i controlli sui titolari effettivi delle società. Certo, il rischio che qualcosa sfugga c’è sempre. La maxi-frode appena scoperta, che riguardava società fittizie create ad arte, dimostra che i controlli stanno funzionando.

(Paolo Rossetti)

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