Si torna nuovamente a parlare di salario minimo ma con una variante: la soglia oraria di 7-8 euro lordi (anziché 9), in linea con la media europea. Secondo un rapporto pubblicato di recente da Eurostat, il salario minimo è presente in 21 su 27 Stati membri; non è previsto, invece, soltanto in Danimarca, Italia, Cipro, Austria, Finlandia e Svezia.



La misura si diversifica naturalmente a seconda dei Paesi ma anche delle macro aree del Vecchio Continente e, più o meno, vi sono tre aree che caratterizzano il salario minimo. Nell’Europa dell’Est, vi sono salari minimi compresi tra 400 e circa 600 € al mese: Lettonia (430 €), Romania (466 €), Ungheria (487 €), Croazia (546 €) , Repubblica Ceca (575 €), Slovacchia (580 €), Estonia (584 €), Lituania (607 €) e Polonia (611 €). Nell’area mediterranea, i salari minimi sono compresi tra 700 € e poco più di 1.000 € al mese: Portogallo (741 €), Grecia (758 €), Malta (777 €), Slovenia (941 €) e Spagna (1.050 €). Nell’area settentrionale e mitteleuropea, i salari minimi sono superiori a 1.500 € al mese: Francia (1.539 €), Germania (1.584 €), Belgio (1.594 €), il Paesi Bassi (1. 636 €), Irlanda (1.656 €) e Lussemburgo (2.142 €).



Come abbiamo più volte scritto, val la pena di ricordare che l’Italia non ha trascurato la misura, semplicemente l’alta copertura (quasi 90%) che i contratti nazionali danno ai rapporti di lavoro non ne ha a oggi richiesta l’attuazione, fino a quando, in particolare negli ultimi 5/6 anni, non sono esplosi i cosiddetti contratti pirata e gli abusi sui/sulle braccianti sono diventati un fenomeno sociale di dimensioni sempre più preoccupanti. Da qui l’idea di definire una retribuzione minima oraria per via legale.

Le Parti sociali hanno sempre manifestato la loro contrarietà, salvo che la misura non interessi quelle aree scoperte dalla contrattazione collettiva (quel 10%, appunto, di cui sopra) o dove i contratti collettivi non sono applicati. Nelle ultime audizioni in Parlamento, giustamente i sindacati hanno chiesto che si desse efficacia erga omnes alla parte retributiva dei contratti collettivi.



Al di là di qualche difficoltà, anche di metodo, che vi può essere nell’individuare i contratti più rappresentativi, questo processo è iniziato grazie al lavoro di Cnel e Inps; e se le intenzioni del governo sono quelle rese note dal Ministro Catalfo – ovvero, facciamo salario minimo e rendiamo efficaci erga omnes i contratti – sarebbe interessante capire quali sono i lavori che restano esclusi dalla copertura dei contratti più rappresentativi (che non sono sotto la soglia individuata per il salario minimo). Probabilmente nessuno. E allora, a cosa serve il salario minimo?

Qualcuno potrebbe rispondere: per i lavori emergenti. Bisogna però, prima di tutto, ricondurli alla tipologia del lavoro subordinato. L’articolo 2 del Jobs Act e il caso Foodora hanno aperto la strada.

Twitter: @sabella_thinkin

Leggi anche

SALARI E POLITICA/ Le due strade davanti all'Italia per sconfiggere il lavoro poveroSINDACATI E CONTRATTI/ La risposta a salario minimo e inflazioneSPILLO SINDACALE/ Gli errori di Landini e Bombardieri sulla rappresentanza