In un contesto sanitario come quello che stiamo vivendo l’analisi predittiva aiuta a costruire schemi adatti a superare i problemi futuri. Come? Tale disciplina utilizza i dati storici per prevedere eventi futuri, in questo caso contagi ed impatto delle soluzioni (nel nostro caso mascherine, distanziamento e vaccini) al problema. In linea di massima i dati storici vengono utilizzati per costruire un modello di tipo matematico predittivo, ovvero in grado costruire approcci previsionali stabili. Tale modello predittivo viene quindi applicato ai dati correnti (nel caso pandemico più o meno ogni 10 giorni), inoltre suggerisce le misure da adottare per ottenere risultati ottimali a livello di azioni preventive o risolutive come il vaccino.
Vaccino, l’obiettivo della campagna mondiale: ritornare alla normalità al più presto
I modelli predittivi indicano la via per riportare in sicurezza sanitaria il sistema mondiale, evitare ulteriori restrizioni alla vita quotidiana e flessioni economiche. Un percorso ancora lungo ma che possiamo definire meno arduo. Nei paesi più industrializzati si partirà con una fase di somministrazione per categorie. L’obiettivo è annullare la trasmissione del virus ed abbattere la terza fase della pandemia prima che si scateni, riducendo la curva al massimo e liberando gli ospedali, che subiscono l’aggravamento del 20% del totale dei contagiati, una percentuale che mantiene il sistema in fase di criticità.
Nei paesi industrializzati il sistema ha più o meno retto: al momento i dati sono incompleti, ma fra un paio d’anni si capirà l’impatto reale del Sars-Cov-2. Non ha tenuto in aree e paesi come Yemen, Messico, India, Iran, Est Europa ed Africa in generale, ma anche Argentina o Brasile, paesi in cui il quadro è poco chiaro e i dati sono comunicati senza una vera cognizione. Ecuador e Colombia, ad esempio, aggiornano con dati vecchi di settimane. Questo porta non pochi problemi, visto che questi paesi dovranno essere rimessi in piedi appena quelli industrializzati avranno completato il proprio ciclo d’intervento che durerà, nel caso italiano e con quattro vaccini in campo, circa 13 mesi. Ma non sarà in tutto il mondo così.
La copertura vaccinale necessaria per l’immunità collettiva (come accadde per il vaiolo o la temibile poliomielite) richiede un buon 92-95% di popolazione vaccinata per abbattere il virus. Su questo punto l’analisi su big data storici pandemici non sbaglia. La Spagnola implose, ma aveva caratteristiche assai più simili all’influenza e la curva dei contagi scese dopo il picco centrale. Oggi il virus Sars-Cov-2 ha un diffusione rallentata da una tecnologia che non esisteva nel 1918: attrezzatura medica efficace, tracciamento, dispositivi di sicurezza e disinfettanti con caratteristiche moderne; interventi sanitari su una percentuale elevata di complicazioni, farmaci moderni, squadre di rianimazione in grado di operare su più turni e sistema informatico di bilanciamento per smistare i casi in più strutture. Nella diagnosi, sistemi ad intelligenza artificiale in grado di mappare i polmoni e portare a galla sintomi derivanti dal Covid con una velocità maggiore dell’occhio umano; più diagnosi precoci vuol dire meno pressione in ospedale.
La sfida del 2021: tornare a curare bene anche le altre patologie
Nella fase acuta abbiamo cercato di resistere grazie a sanitari in prima linea e sistemi di previsione matematica standard, in via sperimentale alcune nazioni hanno attuato strategie “di massa” e si sono organizzate con app di tracciamento, di fatto hanno impostato una strategia non contenitiva, cercando quindi di spegnere i focolai sul nascere.
Corea del Sud, Australia, Giappone, Singapore, Nuova Zelanda hanno adottato questa tattica, qualcuno unita a lockdown totali. La Germania invece, forte della sua specializzazione nelle terapie intensive, ha puntato ad un sistema misto. Angela Merkel però prima di Natale, quando si è accorta che il contagio era fuori dalle previsioni, ha optato per una chiusura più rigida. Più che trattarsi di negligenza tedesca, è il Sars-Cov-2 ad uscire spesso dagli schemi. L’ormai famigerata mutazione detta “inglese” preoccupa per la sua velocità di contagio appunto perché rischia di mandare in tilt le strutture ospedaliere. Tranne le urgenze, tutte le altre patologie passano in secondo piano nei protocolli d’intervento e ciò che si può rimandare, lo si rimanda.
In questo modo aumenta il rischio per chi ha altre patologie e il problema diventa duplice: Covid e aggravamento delle patologie non Covid. Il Sars-Cov-2 diviene così quell’eccezionale moltiplicatore di problemi per il sistema sanitario che conosciamo e risulta davvero riduttivo descriverlo limitandosi al tasso di letalità mondiale (3,4%) senza altre considerazioni sistemiche.
Vaccino, la matematica aiuta
La campagna di vaccinazione di massa passa dalla matematica. Come ha spiegato Giorgio Palù, virologo neopresidente dell’Aifa, è stato elaborato un sistema che punta a calcolare, in base ai dati dell’epidemia, il corretto schema da applicare alle categorie da vaccinare.
La ricerca, pubblicata su Vaccines da Giorgio Palù, Giovanni Sebastiani, matematico dell’Istituto per le applicazioni del calcolo “Mauro Picone” del Cnr (Cnr-Iac), Ilaria Spassiani dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) e Lorenzo Gubian della Uov Sistemi Informativi – Azienda zero della Regione Veneto, punta ad una soluzione che implementi un “mix” di popolazione giovane e anziana da vaccinare.
Il metodo può calcolare in anticipo le variabili d’intervento come età, genere, tipologia del luogo di cura del paziente e comorbidità ed è costruito partendo dai dati del Veneto, ma risulta un modello adattabile a diversi scenari più macro.
La particolarità? I calcoli del modello portano a distinguere chi ha più possibilità di morire e chi diffonde di più il virus. In questo caso però le due strade sono modulate, nonostante l’apparente contraddizione, come ha spiegato Sebastiani ai media.
Con la partenza della campagna vaccinale la risposta tecnologica e tattica del genere umano è arrivata in tempi relativamente brevi rispetto al passato; con questi mezzi – e non bloccando il sistema mondo – una pandemia può essere sconfitta in un paio d’anni dall’insorgenza, più rapidamente della media dei modelli teorizzati dal 2000.
Il percorso è ancora lungo, ma se non saranno commessi errori potremo presto – ragionevolmente entro il 2021 – tornare alla nostra vita di sempre.