Quando nel 1961 l’allora sconosciuto Bob Dylan approda al Greenwich Village newyorchese, determinato a far conoscere le sue canzoni e di imporsi all’attenzione di quel mondo musicale che stava emergendo fra le giovani generazioni più legate alle tradizioni dell’America profonda, Joan Baez era già considerata tra le artiste più interessanti del catalogo folk. Con Pete Seeger era stata tra i debuttanti del primo Festival Folk di Newport nel 1959.
Come racconta Elijah Wald nella sua “bibbia” “Il giorno che Dylan prese la chitarra elettrica”: “Secondo la leggenda, il momento più memorabile si verificò quando Bob Gibson invitò sul palco la diciottenne Joan Baez per eseguire un paio di canzoni (…) e quando la sua voce cristallina da soprano si fuse a quella di Gibson nel duetto ‘The Virgin Mary had one son’, fu immediatamente identificata come ‘La Madonna del folk’ , un’immagine di purezza che rispecchiava la sua voce, non solo una scoperta, ma anche il simbolo vivente del primo Newport Folk Festival”.
E ancora: “Baez descritta come una solitaria e fervente tradizionalista, dalla sincerità disarmante”. Di lei stessa affermava:“Ho iniziato a cantare quando pensavo non ci rimanesse molto da vivere, e mi sento ancora così … È una minaccia costante. I ragazzi che cantano sentono di non avere futuro, per questo imbracciano la chitarra e suonano. È un gesto disperato e sono in molti a sentirsi perduti”.
E queste parole la dicono lunga sull’atmosfera disperante che aleggiava tra i giovani più consapevoli dell’incubo da Guerra fredda e dell’incubo nucleare che produceva insicurezza e ripudio delle istituzioni sia politiche che religiose.
Baez scopre il giovanissimo Dylan nelle serate musicali al Greenwich Village, dove spopolava con una versione intensa di “The house of rising sun” e viene colpita dall’irruente novità delle sue composizioni, coglie la palla al balzo e si offre per interpretarne le canzoni e per iniziare una collaborazione artistica molto attiva. Del loro rapporto affettivo, su cui il film di Mangold si sofferma, non vogliamo dilungarci.
Fanno fede alcune dichiarazioni che la stessa Baez rilascia in anni recentissimi, nel 2018, a Luca Valtorta di Repubblica: “Recentemente (Dylan) ha detto cose molto belle nei miei confronti per come l’ho aiutato ad affermarsi. Era un genio. Rappresentava tutte le cose che amavo. Era un ragazzo quando ci siamo conosciuti e sembrava molto incasinato, ferito. Avevamo ferite che si completavano.
Si tratta di qualcosa di cui nemmeno sei conscio quando succede ma, ripensandoci, scegli una persona proprio per qualcosa di imponderabile che ti colpisce. Le prime volte, quando era sconosciuto, l’ho portato sul mio palco. Il pubblico lo fischiava e io li sgridavo. Dicevo: dovete prima ascoltarlo e poi vedremo se fischierete ancora! Ero come una vecchia maestra. E così l’hanno ascoltato e presto, molto presto si sono resi conto che c’era qualcosa in lui“.
Parole definitive alle quali si aggiungono queste altre come un epitaffio: “Quello che fa è magico. Ciò che di lui più ti cattura è il modo di scrivere, che ti fa cantare. Non saprei descriverla, ma con la band, ogni volta che attacchiamo una canzone di Dylan, tutti sorridono. È incredibile“.
Parole non scontate, visto quello che avvenne con la rivoluzione “elettrica” nel 1965, e poi l’incidente in moto, la lunga convalescenza fisica ed “esistenziale” del ragazzo del Minnesota. E un paio d’anni dopo la sua indifferenza all’evento epocale di Woodstock, mentre addirittura Joan Baez ne diventerà il simbolo.
Sì, perché al contrario del bardo di Duluth, al quale interessava esprimersi solo con la sua musica, “l’usignolo di Woodstock” continuò la sua carriera artistica nel segno dell’attivismo contro le violazioni dei diritti umani, partecipando a manifestazioni organizzate dai più importanti movimenti pacifisti, dal Vietnam al Cile, dal Brasile all’Argentina, raggiungendo intanto la fama mondiale “pop” con l’interpretazione della “morriconiana” Here’s to you” nel 1971, colonna sonora del film “Sacco e Vanzetti”.
Protagonista di tournée anche in terra italiana, da quelle “caotiche” nei primi anni Settanta a quelle più tranquille, a sostegno di organizzazioni benefiche e di solidarietà.
Con Dylan si ritroverà coinvolta nel leggendario tour nel 1975 “The Rolling Thunder Revue”, ma successivamente le loro strade si divisero definitivamente pur apprezzandosi da lontano, nel ricordo degli inizi al Greenwich Village. In questi decenni, Baez è stata attiva discograficamente, non smentendo mai il suo stile, raggiungendo l’apice del successo commerciale con l’album “Diamonds & Rust” del 1975.
Tra concerti e collaborazioni oggi Joan Baez si riserva qualche rara apparizione in occasioni celebrative, ma dal 2018 ha deciso di smettere con l’attività concertistica.
C’è un personaggio che nel film di Mangold, incontriamo in un ruolo di comprimario, ma che in un passaggio è decisivo consigliere nella scelta di Dylan ad andare a fondo nella sua sfida elettrica al Festival di Newport, quasi come se fosse un atto di ribellione contro un potere artistico conformista, come un atto distruttivo. Ma lui, Johnny Cash, che in quel frangente appare quasi un “Lucignolo” collodiano, nella realtà è stato uno dei monumenti della storia del rock’n roll. Cash inizia la sua carriera proprio seguendo la stella nascente di Elvis Presley, debuttando con lui nei tour del 1956, cantando a modo suo il primo catalogo rock.
Infatti, per la scena musicale che lo aveva formato in gioventù “Cash si identificava d’istinto con il movimento del revival-rock. La musica che gli toccava di più il cuore era sempre stata quella che esprimeva con autenticità le gioie e i dolori della vita: musica composta a partire da emozioni molto intense e non per rispondere ad esigenze di un mercato scoperto da poco”. Così scrive Steve Turner nella biografia “Johnny Cash. Vita, amore e fede di una leggenda americana”.
Continua Turner: “Non stupisce che Cash avesse reagito con entusiasmo all’album di Dylan ‘The freewheelin’ Bob Dylan’ quando uscì nel 1963 . Dylan si abbeverava alla sua stessa fonte, citando fra le sue influenze Hank Williams e Leadbelly. Cash iniziò a scrivere lettere di incoraggiamento a Dylan e lo stesso Dylan, che era stato un fan della musica di Cash fin dalla prima volta che l’aveva sentito alla radio negli anni ’50, gli rispondeva”.
Rispetto alla schiera degli altri rocker, Cash aveva abbracciato nel suo repertorio il tema della difesa delle minoranze civili che in quella America voleva dire difendere i diritti dei nativi, i pellerossa, per intenderci, espropriati delle loro terre e messi ai margini della società. Nel 1964 pubblicò l’album “Better tears” proprio su questi temi e lo propose al Festival di Newport di quell’anno.
Scrive Wald: “Cash era tanto una scelta controversa per Newport quanto Newport era per lui (…) Cash era una stella del country che aveva iniziato la carriera discografica come erede di Elvis alla Sun Record. Salì sul palco il sabato sera e fu una scossa di rockabilly elettrico. (…) Il pubblico folk nutriva sentimenti contrastanti nei confronti di Cash (…) si lamentavano come Cash fosse saltato sul carro del folk e di Dylan per accedere al più lucrativo mondo del pop. Era un incontro tra due mondi con forti concetti di purezza e tradizione, ognuno convinto che l’altro rappresentasse il mainstream che minacciava di annacquare o sottrarre i propri veri elementi distintivi”.
E così si capisce ancor di più le reazioni negative che pubblico e backstage ebbero un anno dopo proprio in quel luogo quando ad abbracciare la chitarra elettrica fu proprio Bob Dylan (con il sostegno dell’amico Johnny Cash).
I due non si persero di vista e nel 1969 ebbero modo di registrare insieme una manciata di canzoni scambiandosi le proprie nei leggendari studi di registrazione di Nashville: titoli fondamentali come “Girl from the North Country” o “Ring of fire”, oppure una serie di traditional, che furono occasione quasi di un gioco nel quale i due artisti si divertirono molto. E poi ognuno prese la sua strada costruendo nei decenni successivi una gloriosa carriera, quella di Cash nel segno della profonda fede cristiana tra cadute e redenzione, aiutato dall’amore della moglie June, fino alla loro morte nel giro di pochi mesi una dall’altro nel 2003.
Ci sarebbe ancora tanto da raccontare, ma qui si voleva solo onorare l’epoca creativa insuperabile di quegli anni e come in quei frangenti storici si sia formata una schiera di testimoni fondamentali per la musica della seconda parte del Novecento che “A complete unknown” ci ha aiutato a ricordare o addirittura a scoprire. Rendendoli un po’ meno sconosciuti.
Guida all’ascolto:
Diamonds & Rust cd;
The essential from the heart – live – Spectrum music;
75th Birthday celebration (2016) 2 cd live with duets.
Johnny Cash:
The essential 2cd;
At Folsom prison live;
Travelin thru: featuring Johnny Cash (Bootleg 15 of Bob Dylan) box 3 cd.
Steve Turner:
“Johnny Cash. Vita, amore e fede di una leggenda americana” Ed. Feltrinelli;
L’autobiografia Ed. Baldini+Castoldi.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.