Il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ha intervistato Nicodemus Schnabel, il nuovo abate dei monaci Benedettini di Gerusalemme per parlare della situazione, delicata, che la capitale di Israele si trova a vivere, contesa tra gli ebrei e i cattolici, ma anche tra gli israeliani e i palestinesi. Ci tiene, subito, a specificare che “i cristiani rappresentano solo l’1% circa della popolazione, e sono divisi tra 50 denominazioni”, per sottolineare che “costruire ponti non è possibile”.
Tuttavia, per il governo di Gerusalemme il culto cristiano rappresenta un vero e proprio problema e l’abate sottolinea che “la Chiesa è guardata con occhio critico” soprattutto perché “sta lavorando per un’immagine ebraica uniforme della città”. Tenendo conto del fatto che l’attuale governo sia di estrema destra, “le forze che ci odiano a morte, ora siedono nei banchi” governativi e si fa ben presto a passare “dalle parole ai fatti”. Solamente nel 2023 a Gerusalemme, spiega, “abbiamo già sette episodi di violenza anticristiana. Non è nuova”, sottolinea, “ma la frequenza è aumentata enormemente”, raccontando che “vengo sputato praticamente ogni giorno. 20 anni fa, succedeva forse una volta ogni sei mesi”.
L’abate: “La violenza a Gersualemme non interessa a nessuno”
Complessivamente, insomma, Gerusalemme secondo l’abate starebbe vivendo una vera e propria esplosione della violenza contro i cristiani. Tuttavia, ritiene anche che ci potrebbe essere una soluzione, come “fare appello all’UE, o alla Santa Sede“, azioni che però sono fortemente limitate dal fatto che “a livello internazionale c’è una mancanza di sensibilità verso questo problema. C’è sempre la paura che si possa fare qualcosa di sbagliato, quando si tratta di Israele”.
Per l’abate, però, la solidarietà non dovrebbe essere, necessariamente, verso il governo, “ma con tutti i cittadini” di Gerusalemme e del paese. Non fatica a sottolineare, inoltre, che “mi sento a volte abbastanza abbandonato“. Non pensa, neppure, che una soluzione potrebbe arrivare dal turismo religioso, perché molti fedeli pensano di “visitare una sorta di Disneyland cristiana, incuranti degli elementi spinosi” dei conflitti interni. Conflitti che a Gerusalemme riguardano anche le varie denominazioni, perché “neanche loro si trattano sempre come fratelli“, seppur i rapporti siano effettivamente “molto buoni” ma solo per ragioni legate al fatto che “sanno che possiamo fare subito le valige se ci stressiamo a vicenda”.