Dicono che fosse l’unico a dormire in fondo al pullman da Parma a Milano quel 19 novembre 1995 quando esordì contro il Milan, forse perché durante il viaggio ancora non sapeva che, complice un imprevedibile e duplice infortunio, avrebbe giocato da titolare. Comunque scese in campo dall’inizio e di gol non ne subì nessuno, così come in oltre 500 partite giocate nei massimi campionati, uno dei tanti suoi record.



Gianluigi Buffon si ritira a 45 anni, rescindendo anticipatamente il contratto con il “suo” Parma per entrare nel team della nazionale nel ruolo che fu di Gianluca Vialli.

Una carriera lunga e strepitosa, vissuta con il cuore, la testa e la volontà, chiudendo in bellezza il calcio giocato senza cedere alle lusinghe di continuare oltreoceano o finire la carriera nella dorata ma falsa cornice dei campionati dei Paesi arabi.



Buffon chiude con un palmares strepitoso conquistato passo passo da quell’inatteso e lontano debutto in serie A e concretizzatosi con un campionato del mondo, dieci scudetti con la Juventus (record ineguagliato), sei coppe Italia, sette Supercoppe italiane, una Coppa Uefa, una Ligue 1 e una Supercoppa di Francia con il Psg.

Gli è mancata la Coppa Campioni e non ha mai vinto il Pallone d’Oro (un vero assurdo), eppure Buffon ha vantato il record di presenze in nazionale (176) e forse nessuno è stato tenace in azzurro come SuperGigi. Impossibile non paragonarlo a Dino Zoff, anche se resterà aperto per sempre il dibattito su quale sia stato tra loro due il miglior portiere della nazionale.



Nato in una famiglia di sportivi, innamorato della sua città – Carrara –, oltre al calcio giocato c’è stata una lunga storia d’amore proprio con la Carrarese, che per due volte ha salvato e riportato in auge in serie C, fino al definitivo abbandono prendendo atto che non c’erano le condizioni per continuare.

Un Buffon campione, ma anche un uomo che non si è curato di nascondere le proprie opinioni soprattutto quando per alcune casualità è stato bollato come di estrema destra solo per essere sceso in campo con la maglia numero 88 che i “gendarmi della memoria” hanno subito fatto passare per una sua presunta simpatia nazista. La polemica esplose con veemenza per quella maglia e – a evidenziare il potenziale collegamento col nazismo – fu il responsabile dello sport della comunità ebraica di Roma Vittorio Pavoncello, che ricordò come quelle due cifre fossero un codice per indicare due volte l’ottava lettera dell’alfabeto, e quindi l’acronimo Hh, “Heil Hitler”. Invano Buffon spiegò di non conoscere affatto quel collegamento e per non sbagliare ripiegò sul numero 77, ma aggiungendo di aver scelto il numero perché ricordava quattro palle e gli sembrava adatto a identificare la sua rinascita dopo l’infortunio che gli aveva fatto perdere l’Europeo del 2000.

Una sciocchezza, mentre forse aveva invece un duplice significato e anche un tocco politico il “Boia chi molla” scritto a pennarello sulla sua maglia in occasione di una partita con la Lazio. La Figc lo multò per questo di 5 milioni (di lire) ma non se la sentì di condannarlo quando, rientrando da Berlino campione del mondo, sventolò al Circo Massimo di Roma durante i festeggiamenti uno striscione “Fieri di essere italiani”, che oggi sarebbe forse letto con maggiore ipocrisia.

Uscì “pulito” anche quando nello stesso 2006 fu sfiorato (e poi assolto) dal giro di scommesse legato a Calciopoli, che rischiarono di compromettere il mondiale, ma che alla fine dettero forse uno sprint decisivo alla volontà di riscatto degli azzurri.

Certo quel mondiale fu vinto anche grazie ad una sua parata strepitosa su Zidane nei tempi supplementari (prima della famosa espulsione del francese per una violenta testata a Materazzi) e per il record – proprio di Buffon – che non subì nessuna rete su azione in tutte le partite della fase finale in Germania, vincendo anche il premio come miglior portiere del torneo.

Del Buffon giocatore restano alcune immagini-simbolo nel cuore di tutti, il ciuffo ribelle, il suo senso della posizione tra i pali, la capacità di tenere insieme i compagni di squadra, l’uomo-spogliatoio e soprattutto il suo voler non mollare mai, neppure nei momenti più difficili della sua carriera.

Ora si aprono per lui gli ambienti della Nazionale, dove con ogni probabilità occuperà la posizione dell’indimenticabile Gianluca Vialli e che fu già di Gigi Riva. Un modo per restare nel giro. Non si può abbandonare quel rettangolo verde dove si è nati, cresciuti e soprattutto vissuti per tutta la vita.

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