Diego Abatantuono è pronto a tornare sulla scena col suo nuovo film dal titolo “Il mammone”, in cui si narra di un 35enne che non vuole andarsene di casa (Abatantuono è il padre dello stesso): «La mia è stata un’esperienza anomala – ha raccontato ai microfoni de Il Corriere della Sera lo stesso amato attore – appena ho potuto ho iniziato a fare la mia vita, mia mamma lavorava al Derby di Milano, da adolescente facevo il tecnico delle luci per I Gatti di Vicolo Miracoli e ho iniziato a girare per l’Italia. Ho fatto il primo film a 20 anni, vivevo a Roma e quando tornavo a Milano stavo al Giambellino dai miei, ero fortunato, avevo la mia stanza. Di fianco a me nelle case popolari uguali alla nostra c’erano famiglie con sei figli». Il tema del film, fa notare il collega del Corriere, è quanto mai attuale: «Le commedie classiche dove si ride non sono tante, ma in questo film si ride, ci si diverte, è una commedia costruita sull’interpretazione degli attori con un tema molto preciso: si affronta la questione dei “mammoni” in maniera esasperata; al cinema bisogna raccontare storie dove succede qualcosa, perché se racconti la vita di uno a cui non capita nulla il film diventa lentino. È nell’essenza del cinema raccontare il clamoroso».



Abatantuono ha comunque una sua teoria sul perchè le generazioni di oggi non riescano ad emergere come invece hanno fatto i loro genitori: «Tanti si concentrano sulla mancanza del lavoro, sull’impossibilità economica, ma credo anche che la nostra generazione nel dopoguerra si sia focalizzata troppo sul foglio di carta, sul fatto che i figli non dovevano fare la fatica che hanno fatto i genitori. Si sono messi tutti a studiare, anche chi non era portato… Questa fissa di far studiare i figli ha prolungato il percorso scolastico e così nel frattempo abbiamo anche perso grandi falegnami, grandi idraulici…». E a proposito di figli, Abatantuono come si è comportato con i suoi tre ? (una figlia quasi quarantenne e due maschi over 25): «Anche in questo caso ho avuto una vita anomala, fatta di possibilità economiche che mi permettevano di prendere determinate decisioni. Ai ragazzi ho preso una casa quando avevano 18/19 anni, ma egoisticamente sono contento se stanno da me, anche adesso. Ci vediamo molto, vediamo le partite insieme».



DIEGO ABATANTUONO: “GABRIELE SALVATORES DICE CHE SONO PIGRO? VI SPIEGO…”

Si parla quindi di Gabriele Salvatores, immenso regista che di fatto consacrò Abatantuono con il capolavoro Mediterraneo; secondo Gabriele, però, il grande Diego avrebbe potuto ottenere ben di più dalla sua carriera: «Perché lui no? Ha fatto la stessa carriera che ho fatto io, non mi sembra sia a Los Angeles a fare i 100 metri… Per altro io ho fatto 100 film e lui ne ha fatti 10; io ho fatto tre figli e lui ne ha ereditata una da me; io ho tre nipoti che chiamano nonno lui… e il pigro sono io?». E ancora: «Tutti possono fare di più. Io per carattere non sono competitivo, non ho mai avuto nessuna intenzione di andare in America a imparare l’inglese, anche perché ho un linguaggio che mi rende abbastanza interessante qua. E poi ho iniziato ad aver successo molto giovane, ogni volta che pensavo: se non succede niente me ne vado, succedeva qualcosa. Al contrario del mio meno pigro amico Gabriele, che a 30 anni era ancora al teatro dell’Elfo, io a 30 anni avevo già recitato in un sacco di film che incassavano parecchio, avevo comprato una casa e fatto smettere di lavorare i miei genitori, e mi ero già fatto fregare un po’ di soldi. Per questo siamo perfetti per stare insieme: io sono quello pigro che fa le cose. E poi se ci sono io i suoi film vengono meglio».



In ogni caso Diego Abatantuono ci tiene a precisare: «Con Gabriele c’è grande feeling, grande fiducia reciproca: ci capiamo al volo». L’intervista ha poi virato sull’età dello stesso attore, ormai vicino al traguardo dei 70 anni (ne ha 67): «L’età che passa fa girare le scatole? No no, fa proprio girare i co*lioni; invecchio con allegria, sparo caz*ate, mi rassegno a fare il nonno; siamo immersi nella cultura del non invecchiamento, della giovinezza eterna che crea mostri ridicoli, io invece invecchio come viene. Certo, quando sei circondato da tante persone a cui vuoi bene ti scoccia morire, perché hai voglia di vedere cosa succede. E poi c’è il Milan: voglio sempre sapere come va a finire…». E a proposito di Milan, Abatantuono conclude così: «L’inferno? Essere juventino e non vincere mai la Champions oppure essere interista e dovermi inventare il triplete per fregiarmi di una coppa interessante che di per sé non esiste».