L’impoverimento materiale di bambini, bambine e adolescenti, in crescita non è che la cornice di un quadro ancora più preoccupante per il loro futuro: l’impoverimento educativo sconta ancora gli effetti di Covid e Dad, soprattutto tra i minori già in svantaggio socioeconomico.
Il 9,7% degli studenti con un diploma superiore nel 2022 si è ritrovato e rimane a tutt’oggi in condizioni di dispersione “implicita”, cioè senza le competenze minime necessarie (secondo gli standard Invalsi) per entrare nel mondo del lavoro o dell’Università, mentre il 12,7% dei minori non arriva neanche al diploma delle superiori, perché abbandona precocemente gli studi.
Il confronto con l’Europa è pesante, visto che l’incidenza della dispersione scolastica, nonostante i progressi compiuti, in Italia resta tra le più elevate in assoluto ed è ben lontana dall’obiettivo del 9% entro il 2030 stabilito dall’Ue e quello fissato per il 2020 (il 10%) è stato mancato. Istat ci dà anche un identikit dello studente tipo che la scuola perde per strada: maschio, straniero e residente nel Sud Italia. I ragazzi, infatti, hanno percentuali di abbandono scolastico molto maggiori rispetto alle ragazze: il 15% contro il 10%. Pesantissimo anche il ruolo giocato dal luogo in cui si vive, con le regioni del Sud che fanno registrare tassi di abbandono superiori al 19% (Calabria 20,2%, Sicilia 23,4%). Per gli alunni non italiani rimanere in classe è molto più complicato. Problemi di integrazione, difficoltà nel mantenersi al passo con i compagni e inconvenienti con i documenti e la burocrazia fanno sì che la quota di coloro che rinunciano o vengono ritirati dai genitori schizzi addirittura sopra il 39% (con un picco del 52% nel Sud Italia).
Il numero dei “Neet” nel nostro Paese, i 15-29enni che si trovano in un limbo fuori da ogni percorso di lavoro, istruzione o formazione, raggiunge il 23,1%, L’abbandono scolastico è la definitiva uscita di uno studente da un iter formativo; la dispersione scolastica, invece, si riferisce a processi che, determinando rallentamenti, ritardi o altre interruzioni prolungate di un iter scolastico, portano all’abbandono, che rappresenta un fattore che concorre a determinare l’esclusione sociale, perché rischia disoccupazione e un aumento di costi socioeconomici tanto a livello individuale che collettivo.
Fenomeni complessi riconducibili sempre all’ambiente sociale: culturale, familiare ma anche agli insegnanti e sempre più spesso dal percorso di studio scelto che si rivela sbagliato, non risponde alle aspettative del giovane che sperimenterà un senso di fallimento che colpisce la sua autostima d il suo senso di autoefficacia. In generale, la scelta di non proseguire gli studi, spesso indice di un disagio sociale che si concentra nelle aree meno sviluppate del Paese, può essere diffusa anche nelle regioni più prospere, dove una sostenuta domanda di lavoro e un inserimento occupazionale relativamente facile possono esercitare un’indubbia attrazione sui giovani, distogliendoli dal compimento del proprio percorso scolastico.
Gli studenti che abbandonano la scuola dovrebbero essere la prima preoccupazione non solo dei loro genitori e dei loro insegnanti, ma di tutto il sistema scolastico e politico. Il presupposto fondamentale della prevenzione è la capacità di ascolto e di empatia che permette di affrontare o di evitare le forme di disadattamento che portano all’abbandono scolastico. Per contrastarlo serve agire su infrastrutture, formazione dei docenti e orientamento, durante il passaggio dalla terza media alla prima superiore e flessibilizzare i programmi di studio anche collegandosi con le istituzioni e le imprese territoriali che segnalano le esigenze delle nuove opportunità di impiego, lavoro, professioni e puntare in modo deciso sui Patti educativi di comunità.
Per prevenire l’abbandono i genitori sono fondamentali per favorire la loro partecipazione e cooperazione con la scuola creando forme di partenariato. Oggi abbiamo figure specializzate in grado di sostenerli in questo delicato momento. Psicologi, educatori, sportelli di ascolto, di aiuto, consulenti scolastici, professionisti che possono dare supporto e aiutare il ragazzo e i suoi genitori ad affrontare la situazione in modo lucido e sereno.
L’Italia destina all’istruzione il 4% del Pil e l’8,2% della spesa pubblica totale, molto al di sotto della media europea (4,6% e 9,9%). Riflettiamo e cambiamo rotta.
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