Mentre il Governo giallo-verde è sempre più traballante, come un elefante in una fabbrica di porcellane si fa improvvisamente avanti il senatore Gianluigi Paragone, capogruppo del Movimento 5 Stelle in Vigilanza Rai – giusto perché nella vita precedente ha fatto l’animatore tv – presentando un progetto di legge sulla Rai che prevede l’abolizione del canone e del tetto pubblicitario. Al vostro vecchio Yoda il Paragone non è mai piaciuto, a causa dei suoi frequenti trasformismi: da azzimato giornalista di area leghista (diresse pure la Padania) che scendeva a Roma indossando un cappottino di cammello con i revers di velluto, a scatenato anchor man rockettaro, con tanto di chiodo, jeans e Fender d’ordinanza, con tendenze populiste che inevitabilmente lo hanno fatto poi approdare ai 5 Stelle. Strillando di tutto senza intendersi veramente di niente, dato che ha fatto il presentatore in tv, secondo la prassi oggi in uso era perfetto per fare il capogruppo in Commissione di Vigilanza Rai. Peccato che meccanismi così delicati come il sistema radiotelevisivo italiano non siano esattamente pane per i suoi denti.
Del suo progetto di legge si sa soltanto che l’abolizione del canone viene proposto per aiutare le famiglie italiane. Nulla è dato sapere riguardo a un eventuale progetto industriale di una Rai privata del canone, se non che occorrerebbe eliminare il tetto pubblicitario (per i non addetti, la Rai può raccogliere meno pubblicità delle tv concorrenti in quanto percepisce un canone per eseguire compiti di servizio pubblico in base a un contratto di servizio). Di fatto, abolire il canone significherebbe privatizzare la Rai senza venderla, mentre l’abolizione del tetto pubblicitario sconquasserebbe l’attuale sistema radiotelevisivo, da sempre in un fragile equilibrio, reso ancora più instabile da diversi anni di crisi di raccolta pubblicitaria. Non percependo più il canone, perché la Rai dovrebbe sobbarcarsi l’impegno di fare ancora programmi di servizio pubblico? È vero che, secondo molti, negli anni ha finito per assomigliare sempre di più a una tv commerciale, ma parte dell’azienda è da sempre strutturata per questo obiettivo.
A fronte della poco chiara proposta di legge, si fa vivo il sindacato dei giornalisti Rai, snocciolando una serie di dati inoppugnabili, dimostrando che a ogni il cittadino in Italia (Rai), il canone costa 29 euro. In Germania (Ard-Zdf) 98 euro. Inghilterra (Bbc) 72 euro. In Francia (France Tv) 52 euro. In Spagna (RTve) 38 euro. Quindi già si evince che in Italia c’è il canone più basso d’Europa. Per quanto riguarda l’efficienza dell’impresa, nonostante sia piena di raccomandati dalla politica, l’Usigrai dimostra che la Rai fa in media il 36,5% di share con 1,7 miliadi di euro pubblici, mentre, la Bbc (per antonomasia la migliore tv pubblica d’Europa) fa il 31,5% di share con 4,4 miliardi di euro di soldi pubblici. In sostanza la Rai, con meno della metà dei soldi pubblici di cui dispone la Bbc, ottiene un risultato in termini di share più alto.
Chissà se il senatore Paragone ha esaminato questo e altri dati prima di sparare il suo progetto di legge, che assomiglia più che altro a un ballon d’essai buono per ottenere un po’ di titoli sui giornali, nella migliore tradizione populista e pentastellata. C’è poco da stupirsi che il querulo Paragone sia stato nominato senatore e faccia il capogruppo in Vigilanza Rai. In fondo è già successo che in altri tempi, in cui il Senato era tenuto in maggiore considerazione, l’imperatore Caligola intendesse nominare senatore il suo cavallo. E allora?