Bisogna sempre stare attenti alle bufale, ma soprattutto in questo periodo di Coronavirus. Una nuova pandemia, un virus di cui si sa poco; medici ed esperti che “si fanno la guerra” con opinioni contrastanti, un vaccino che ancora non esiste e tanta, tanta incertezza su come si possa davvero debellare il Covid-19. Ultimamente, sul web sta circolando un video che vede come protagonista Stanley Plotkin, un medico esperto nel campo dei vaccini: la tesi sarebbe quella di testarlo su feti abortiti. Open ha fatto luce sulla questione, andando a ripescare uno studio che, pubblicato su riviste scientifiche in passato, riguarda le cellule umane WI-38 (sono della stessa linea cellulare che viene utilizzata per il vaccino contro la rosolia), isolate in un feto femminile nel 1962. Feto che era in possesso del Karolinska Institet di Stoccolma, e che avrebbe fatto da “apripista” per uno studio nel quale sarebbero stati utilizzati altri feti abortiti. Da cui l’idea o l’ipotesi che i feti abortiti possano essere utili per studiare e identificare un vaccino contro il Coronavirus.



Dove sta la bufala su feti e vaccino? Lo stesso Plotkin aveva ricevuto parecchie critiche circa l’uso dei feti per sviluppare il vaccino contro la rosolia – in particolar modo dal Vaticano, che aveva invitato i fedeli a impedire che le industrie farmaceutiche potessero utilizzarli – e non aveva mai negato la cosa (anche perché, come detto, gli studi erano già comparsi sulle riviste scientifiche). Tuttavia, aveva risposto di essere soddisfatto di come il vaccino contro la rosolia avesse prevenuto migliaia di aborti in più rispetto a quelli che la chiesa cattolica avrebbe potuto impedire con le sue forze. Questo perché solo negli Stati Uniti, tra il 1964 e il 1965, l’epidemia di rosolia aveva causato oltre 11 mila aborti terapeutici o spontanei oltre che 2100 morti neonatali e 20 mila bambini nati con rosolia congenita.



La fake news in questione, che si lega al tema del Coronavirus, riguarda il fatto che le donne siano obbligate ad abortire così da donare i loro feti alla scienza. Per svilupparla, è stata estratta la parte di una testimonianza che Plotkin aveva tenuto in un tribunale due anni fa, in un processo la cui vertenza era sul fatto che una coppia fosse in disaccordo circa la necessità di vaccinare i figli. Lui, favorevole al vaccino, si era servito di Plotkin; la cui testimonianza era durata circa 8 ore, ma il video che circola in rete è di appena 7 minuti. Nel suo intervento, sembra di capire come ai tempi (si parla sempre degli anni Sessanta) si obbligassero davvero le donne ad abortire, partendo proprio da quel caso in Svezia nel 1962; su Open, tuttavia, compare un estratto nel quale si spiega come le cose non stessero esattamente in questo modo.



Meredith Wadman, si legge nell’estratto, aveva pubblicato un articolo sulla rivista Nature spiegando la scoperta della linea cellulare WI-38. In questa ricerca veniva menzionato il feto del 1962 ma si dice chiaramente che “la donna che donò il feto non era stata costretta da nessuno e non era rimasta incinta per fornire un feto alla scienza” (la seconda parte della bufala riguarda la possibilità di “indurre” gravidanze solo per poi avere materiale sul quale lavorare). “Semplicemente, secondo lei aveva avuto troppi figli e non ne voleva un altro”. Ecco, questo se vogliamo è un problema ancora diverso ma che andrebbe approfondito in altra sede; per quanto concerne la bufala sui feti utilizzati come cavie in maniera coercitiva, si legge che “l’aborto effettuato nel 1962 in un ospedale svedese fu del tutto legale”.