Non sono poche le associazioni e i comitati pro-aborto che in questi giorni di estrema crisi coronavirus lamentano una sostanziale e diffusa “mancanza” di adempimenti della legge 194 in merito alle Interruzioni Volontarie di Gravidanza: come denuncia il Corriere della Sera con la rubrica “La 27a ora”, «Oggi le donne di tutta Italia non sanno come muoversi. La legge 194 stabilisce che è possibile interrompere una gravidanza entro 90 giorni dal concepimento. Un lasso di tempo che si assottiglia mentre si va in consultorio, si aspetta la cosiddetta “settimana del ripensamento” (obbligatoria, se non in casi di emergenza) e si fanno visite e analisi. Nel caso dell’aborto farmacologico i giorni si riducono a 49».



La lamentela è diffusa e vede il coronavirus come principale “responsabile” della maggiore difficoltà, in epoca di emergenza sanitaria, di arrivare ad ottenere il via libera per l’aborto legale: nel continuare della pandemia da coronavirus, le donne che vogliono interrompere una gravidanza perdono giorni “utili” al telefono alla ricerca di consultori aperti e ospedali disponibili.



ABORTO E CORONAVIRUS, CHE SUCCEDE?

Addirittura, secondo sempre il CorSera e diverse associazioni pro-choice, alcuni ospedali giustificano la soppressione del servizio di IVG con il decreto del 9 marzo scorso in cui si legge chiaramente «si possono rimodulare o sospendere le attività di ricovero e ambulatoriali differibili e non urgenti». Il problema è dunque capire se l’aborto rientra o no nelle pratiche definite “urgenti”: «Non si può mettere in dubbio la 194 o cominceranno di nuovo gli aborti clandestini. Lo considero un femminicidio, ci ricordiamo quante donne morivano?», spiega con amarezza la responsabile della Clinica Mangiagalli di Milano, Alessandra Kustermann, aggiungendo «l’aborto è un servizio essenziale e va tutelato».



Di contro, vi sono altre associazioni pro-life – come ad esempio la “Pro Vita e Famiglia” che hanno scritto al Ministro Speranza per chiedere che invece altri ospedali non adottino l’aborto come pratica sanitaria “urgente”: «Chiediamo quindi che l’interruzione volontaria di gravidanza non sia considerata né indispensabile né urgente, e che pertanto siano interrotte le operazioni abortive, sia quelle chirurgiche che quelle farmacologiche (RU 486), viste le percentuali di insuccesso dell’aborto farmacologico che ricaderebbero sempre sugli ospedali con grave dispendio di personale e di risorse». La duplice emergenza c’è in tutta Italia, a seconda delle cliniche e degli ospedali o della presenza di consultori: il problema dunque resta con il coronavirus che è riuscito a sconvolgere una già complicata e dolorosa “scelta” dal costante e mai risolto “dramma morale”