E’ ancora scossa la giovane donna che dopo l’aborto ha scoperto che il suo feto era stato sepolto in una zona del cimitero Flaminio di Roma, con tanto di croce e il suo nome scritto: “Quando ho visto la mia tomba – le sue parole riportate su un post denuncia via Facebook – ho provato un dolore enorme, stavo per svenire. Lì sotto c’è mia figlia, una creatura di sei mesi che ho dovuto abortire e sopra di lei hanno messo una croce con il mio nome e cognome”. Una vicenda, quella di questa giovane madre, che accomuna anche un’altra donna, leggasi F.T, che ha deciso di non rimanere in silenzio dopo l’aborto: “Mi sono sentita tradita dalle istituzioni – le sue parole a Repubblica – che hanno usato una croce, un simbolo che non mi appartiene. Su quella croce c’è il mio nome. Lo hanno preso, hanno voluto farmi sentire morta, seppellita, sembra una punizione. Ma io non ho nessuna intenzione di tacere”. La donna aveva ricevuto voce che vi fosse appunto un cimitero dei feti, ed ha voluto controllare di persona: “Di fronte a quella distesa di croci dei feti stavo per accasciarmi per terra. Per fortuna è arrivata Ercoli (presidente dell’associazione Differenza Donna ndr) ad abbracciarmi”.



DONNA RACCONTA IL CALVARIO DELL’ABORTO: “UNA SETTIMANA PER TROVARE UN OSPEDALE…”

La donna ha quindi raccontato la sua storia a Repubblica. Dopo tre mesi di gravidanza la decisione sofferta di procedere con l’aborto alla scoperta che il feto fosse malformato: “Il mio ginecologo si è mosso immediatamente ma non si trovava un ospedale disponibile – racconta – mi ha proposto di andare a Londra, ma io mi sono impuntata chiedendomi perché da cittadina italiana non potessi essere curata in un ospedale pubblico e dovessi spendere 30mila euro, che tra l’altro non ho, per andare all’estero”. Dopo una settimana è stato trovato un’ospedale, e lì è iniziata l’aborto una sorta di tortura: “Una volta ricoverata mi hanno dato due pasticche esagonali bianche e due rosa. Nessun ginecologo è riuscito a dirmi a cosa servissero quelle rosa, io so solo che appena le ho messe in bocca stavo diventando matta per il dolore. Urlavo, mio marito era disperato. Non mi hanno fatto l’epidurale né l’anestesia. Le contrazioni non erano normali, erano calci dati con gli anfibi sui reni. Avevo la lingua attaccata al palato”.



“DURANTE L’ABORTO MI SONO SENTITA INSULTATA”

Atroci sofferenza durante l’aborto e nessuno del personale medico che muoveva un dito: “Anzi, mi sono sentita insultata: le ostetriche mi dicevano che avrei dovuto sapere come si partoriva, che trattandosi di un feto alla fine del quinto mese pesava poco, come un pacco di pasta. Non mi hanno dato le pasticche per la montata lattea quindi io sono tornata a casa con il seno pieno di latte e nessuna bambina a cui darlo. Il corpo impazzisce, è uno shock tornare a casa col latte senza bambino”. Torture durante l’aborto ma anche prima, al punto che la paziente è stata giudicata psichicamente instabile: “Quello che avviene prima dell’aborto è follia – spiega – lo psichiatra deve accertare il fatto che è in pericolo la vita del feto o la salute psicofisica della madre. Io stavo bene fisicamente e il feto avrebbe potuto continuare a crescere, sebbene malformato, dentro di me. Quindi hanno puntato sulla salute psichica e nella mia cartella clinica c’è anche questo. Come dire che io sono matta. Ed è così che fanno sentire chi deve abortire”.

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