La proposta popolare di legge diretta ad equiparare a tutti gli effetti l’aborto all’omicidio è stata bocciata dal Parlamento polacco. Anche il partito conservatore al governo ha votato contro, temendo che la sua radicalità rischiasse di rafforzare nel Paese le correnti pro-aborto.
Interessanti le reazioni di alcuni media italiani, per esempio un titolo de La Stampa: “La Polonia dichiara guerra alle donne”. Un titolo significativo, perché dà per scontato che l’aborto sia un diritto inalienabile della donna, anzi sembra identificare la donna con questo diritto. Dal canto suo, Il Manifesto titola: “Polonia, contro l’aborto ci mancava solo la legge dei teocon”, dimenticando quanto più volte detto da Papa Francesco, che ha definito senza mezzi termini l’aborto come un omicidio. Non solo si tace su quanto dice il Papa quando non coerente con il pensiero dei cosiddetti progressisti, addirittura gli si dà del teocon.
Perfino Amnesty International si è sentita in dovere di intervenire, definendo il progetto di legge “scellerato”(sinister) e “l’ultimo di un’ondata di crudeli e discriminatori attacchi ai diritti umani delle donne”. Uno strano intervento, dato che sul loro sito è messo in evidenza l’articolo 3 della Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu, che recita: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”. Un diritto che, con l’aborto, al nascituro viene negato. Sembra più trasparente il vecchio slogan femminista “L’utero è mio e lo gestisco io”, affermazione di un diritto assoluto a gestire il proprio corpo e ciò che contiene, anche se è un altro essere vivente. Senza ammantare questa dichiarazione egocentrica, ed egoista, con invocazioni di diritti umani o costituzionali.
Ciò che colpisce nelle posizioni dei media è l’assoluta assenza del vero soggetto della questione, il feto, e sembra ormai divenuto irrilevante se si tratti di un essere vivente e da quando lo si possa considerare tale. L’affermazione dell’aborto come un diritto indiscutibile della donna esclude l’interesse non solo del feto, ma anche dell’uomo che ha contribuito al concepimento. Una posizione che delinea una strategia globale, di cui l’aborto è lo strumento di punta, e che si fonda sulla diffusione del concetto che ciascuno è una monade autosufficiente. Pertanto, unico gestore di se stesso, riducendo gli altri a strumento: il bambino, da tenere o di cui disfarsi secondo volontà, l’uomo, strumento riproduttivo tranquillamente sostituibile con gli ultimi progressi scientifici. Un progresso che riguarda anche gli uomini, come dimostra l’utero in affitto anche per le coppie omosessuali, su cui apparentemente non c’è niente da dire, anche se si tratta di un vero e proprio traffico di esseri umani.
Una concezione che afferma che si è proprietari assoluti della propria vita e che se ne può disporre come si vuole. Per esempio, ponendovi fine quando è diventata insopportabile. Si parla di suicidio assistito, ma non è più un disperato atto di amore per una persona cara la cui sofferenza è diventata insopportabile. Anche questo è diventato un diritto e ogni ostacolo che venisse posto sarebbe una lesione della libertà personale. E se il soggetto non fosse più in grado di intendere, o si trattasse di un minore senza capacità giuridica, sarà qualche autorità esterna a decidere. Prima o poi, anche ciò che rende la vita non più degna di essere vissuta sarà deciso dall’esterno, secondo criteri non necessariamente condivisi dal soggetto interessato.
La stessa impostazione si ritrova nella varietà di atteggiamenti sulla differenza di sesso, anch’essa ridotta a decisione autonoma, indipendentemente dalle situazioni di fatto. Anche qui, non si tratta solo di situazioni personali difficili e talvolta dolorose da comprendere ed aiutare, ma dell’affermazione di un diritto inviolabile a decidere cosa si è, e anche a cambiare idea il giorno dopo. La natura intoccabile sembra ora essere solo quella ambientale, la natura dell’essere umano è merce disponibile.
Gli strumenti per diffondere questa visione sono quelli tipici della disinformazione, la divisione tra i sostenitori di questi nuovi “valori”, definiti progressisti, illuminati, moderni e via dicendo, relegando gli oppositori al ruolo di reazionari, retrogradi, incolti. Buttandola spesso nel politico, con la sinistra progressista e la destra reazionaria, se non fascista. Tornano alla mente anche Orwell e la sua Fattoria degli animali: come visto, alcuni diritti sono più diritti degli altri.
Risulta difficile credere che si tratti solo di movimenti spontanei, di popolo, senza una strategia globale sottostante. Forse non è un caso che da un po’ di tempo si stia parlando di Great Reset, e non limitato agli aspetti economici della proposta del Principe del Galles al World Economic Forum dell’anno scorso.
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