La materia dell’aborto – come quella del suicidio e di altri temi delicatissimi di materia etica – accendono da sempre le luci della cronaca sui casi più eclatanti e spesso il “peccato” nella comunicazione riguarda la pochissima conoscenza che si ha di quel caso, di quelle storie e di quelle persone protagoniste. Il caso del giorno viene sollevato dall’Espresso che attraverso una rubrica dal titolo #innometitutte intende raccontare dal lato della donna (ma dal lato del bambino esisterà mai una rubrica sui grandi giornali?, ndr) il dolore e le esperienze traumatiche avvenute durante le interruzioni di gravidanza. Si tratta di una rubrica dove aderire in forma anonima e questo non permette dunque di conoscere tutti gli elementi della triste storia, se non il dramma della ragazza che si è raccontata in poche righe: M. dalla Toscana racconta di un aborto portato a termine nel 2017 all’ospedale Versilia con diverse problematiche emerse proprio durante la già difficile operazione (dal punto di vista psicologico).
L’ABORTO E LA SELEZIONE
«Da sola nel reparto di ginecologia, ci sono solo io. Nel pomeriggio l’unico ginecologo non obiettore mi informa che sarei dovuta rimanere ricoverata fino a quando uno psichiatra non obiettore non fosse stato libero, intimandomi di comportarmi bene altrimenti non avrebbe firmato la cartella e sarei dovuta essere dimessa e cercare un altro ospedale», sono le parole ancora traumatizzate della donna nel suo racconto “anonimo” all’Espresso. Ma è quanto avvenuto due giorni dopo, quando il ginecologo non obiettore di coscienza torna da lei che impressiona la ragazza: secondo la sua testimonianza «mi offende dicendomi che stavo compiendo una selezione naturale come i nazisti». Il dolore resta, l’aborto viene poi effettuato la domenica successiva ma solo dopo aver chiamato la dottoressa di turno per tre volte: ma è la “denuncia” finale a fare forse più impressione, perché rileva una mancanza – a prescindere da come la si pensi sulla vicenda dell’interruzione volontaria di gravidanza – enorme da parte della struttura ospedaliera della Toscana «Non ho mai visto un’ostetrica, mai un dottore diverso. Nessuno mi ha mai informata di quello che sarebbe successo. Abbandonata totalmente per un settimana da sola nel reparto di ginecologia».