Aveva sollevato non poche polemiche la decisione della Corte inglese di “forzare” l’aborto su una giovane madre mentalmente disabile attorno alla 22esima settimana di gravidanza ma oggi arriva la clamorosa retromarcia: la Corte d’Appello ha accolto il ricorso presentato a nome della 20enne con difficoltà d’apprendimento presentato dalla mamma. Nei fatti, viene disposto che i medici non pratichino più l’aborto a differenza di quanto invece aveva stabilito il verdetto di primo rado della giudice Nathalie Lieven. Dopo i casi Charlie Gard e Alfie Evans, ancora una volta il Regno Unito si ritrova “impelagato” in una storia complessa e dal forte risvolto umano: in tutti e tre i casi però i magistrati e la legislazione inglese hanno preso la direzione della “scelta imposta” dal lato medico-scientifico contro la volontà delle famiglie e delle singole coscienze umane dilaniate da drammi e storie già di per loro complicate. Come spiega la Bbc, i tre magistrati d’Appello depositeranno le motivazioni nei prossimi giorni e lì si potrà capire al meglio i veri motivi dietro la decisione di fermare quello che da più parti è stato definito un “abominio” come il forzare l’aborto per il semplice fatto che la madre non è considerata in grado di potersene occupare.



ABORTO MEGLIO DELL’AFFIDAMENTO, MA LA CORTE FA DIETROFRONT

Il giudice Nathalie Lieven aveva spiegato che «la decisione, nonostante sia stata straziante, è stata presa nell’interesse della giovane»: inevitabili le polemiche anche perché la corte si era espressa contro non solo la ragazza mentalmente disabile ma la madre nigeriana e un’assistente sociale che si era schierata con la famiglia, «l’aborto non deve essere praticato, la giovane avrebbe dovuto proseguire la gravidanza». La giudice nella sua sentenza aveva poi aggiunto «Penso che la 20enne voglia avere un figlio nello stesso modo in cui vorrebbe una bella bambola» suscitando ancora più polemiche non solo in Inghilterra ma da ogni parte del mondo: per la Lieven «la giovane sarebbe stata traumatizzata nel dare alla luce il bebè per poi doverlo dare adozione». Fortissimo il parere contrario lanciato dalla Chiesa Cattolica contro la sentenza del giudice, specie nella parte in cui si leggeva «la scelta è stata fatta nell’interesse della ragazza e non della comunità». Tra i più indignati vi fu negli scorsi giorni il Vescovo cattolico di Westminster, Mons. John Sherrington che aveva commentato «Forzare una donna ad avere un aborto contro la sua volontà e quella dei familiari più stretti viola i diritti umani, per non parlare del diritto alla vita del nascituro. E’ triste e angosciante». Oggi, forse anche per le proteste del mondo cattolico e delle associazioni già scese nell’agone delle battaglie etiche durante i drammi di Charlie e Alfie, la Corte inglese ha fatto un passo indietro: ma il caso, purtroppo, non è per niente concluso e quell’inquietante formula “meglio l’aborto che l’affidamento” non è del tutto eliminato come pericolo.

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