La Costituzione italiana, agli art. 2 e 3, delinea due diversi modi di garantire i diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla stessa Costituzione (e non creati dalla medesima). Un primo modo consiste nel preservare al singolo individuo uno spazio di libertà, protetto dall’intervento dei pubblici poteri, che si connota come “libertà negativa” (benché l’aggettivo, elaborato dalla dottrina, non dia piena ragione della complessità e del valore di tale forma di tutela). Un secondo modo, di segno opposto, in cui il Costituente impegna i pubblici poteri ad intervenire per proteggere le persone che si trovino in situazioni difficili determinate da povertà, ignoranza, assenza di lavoro, difficoltà psicologiche e morali, malattie, disgrazie.



Tutelare garantendo e garantire proteggendo sono le due dimensioni che la Costituzione delinea e che il legislatore è chiamato a regolamentare prevedendo, nel secondo caso, forme adeguate a realizzare tale tutela. A ciò fa riscontro una valutazione dello stato in cui versa la persona oggetto di tutela, se essa si trova in una situazione in cui è opportuno non interferire con le sue scelte o se sia invece necessario offrire supporto e sostegno a chi, trovandosi in una situazione difficile, necessita di un intervento dei pubblici poteri che predispongano sistemi per evitare che tale situazione difficile si protragga.



Ora, davanti alla legge 194, che prevede la possibilità – per la donna – di scegliere se terminare la gravidanza, qual è la dimensione che prevale? Che cosa intendeva offrire il legislatore alle donne in difficoltà, che per motivi diversi non si sentissero in grado di portare avanti una gravidanza?

La scelta tra le due dimensioni sopra evocate non è lineare perché, come è ben noto, vi è un abbrivio nella legge tutto orientato alla protezione che sfocia in una conclusione in cui è la donna stessa, col supporto del medico, a prendere la decisione definitiva. Quale sia il momento in cui la ratio della legge in esame cambia di segno non è di facile individuazione ed è forse anche per questo – oltre che per i noti motivi politico-culturali – che la lettura di tale legge e la sua applicazione ha finito per orientarsi decisamente verso la dimensione garantista della volontà della donna e del relativo “diritto”, date le condizioni – diverse tra il primo e il secondo semestre – previste sempre dalla legge per ottenere tale prestazione.



La decisione del ministero della Salute di dare accesso, tramite le nuove linee guida, non solo all’intervento di interruzione della gravidanza da realizzarsi in ospedale ma anche di ottenere analogo risultato tramite la somministrazione della pillola Ru486 è diretta derivazione di questa lettura della legge 194: si semplifica l’intero processo, si evita l’ospedalizzazione, si ampliano le prestazioni che possono essere fornite dai consultori e si eliminano alcune delle precauzioni che nella prima fase di messa in commercio della pillola citata erano state prese per motivi di tutela della salute della donna.

Di qui il dissenso espresso dalla Pontificia accademia per la vita, la quale mette in luce come vi è tutta una parte della legge in esame che diviene – non solo di fatto ma anche di diritto – lettera morta o, quanto meno, lettera cui non fa seguito una puntuale e attenta attuazione: tutta la parte relativa agli obblighi che lo Stato dovrebbe assumersi non di “impedire” ma di supportare le donne in difficoltà, offrendo strumenti per superare gli ostacoli oggettivi che impedissero di portare a termine la gravidanza assecondando, se presente, la volontà della donna di continuare la gravidanza stessa nel momento in cui tali ostacoli venissero rimossi, viene messa tra parentesi a favore della completa privatizzazione del fenomeno, privatizzazione che trasforma la tutela della maternità, proclamata come fine dalla legge, nel diritto “to be let alone”, un diritto di privacy, secondo la definizione che proviene dalla dottrina statunitense. La donna può (forse anche deve) essere lasciata sola, senza interferenze, senza ostacoli all’esercizio della sua volontà, che si presume essere univocamente indirizzata a interrompere la gravidanza.

Senza derive ideologiche, senza paternalismi, senza timori di attentati alla laicità dello Stato e della sua legislazione (ma anche ricordando che toccherebbe al legislatore fare le scelte fondamentali per la configurazione dei diritti sociali, che non possono essere trasformati, per linee guida, in “libertà negative” svuotando leggi o parti di leggi che sono elementi portanti del compromesso cui era giunto il Parlamento nel varare la legislazione) credo sia legittimo tenere aperte le domande che nel documento pontificio vengono, con tutta la discrezione del caso, avanzate, soprattutto in tempi come questi, in cui il tema del futuro delle nostre società è quanto mai aperto e bruciante.