Quando si parla di vita e di libertà nel nostro Paese scatta uno dei grandi paradossi del nostro tempo: alla libertà si riconosce la legittimità di scelta solo se la sua opzione preferenziale riguarda l’aborto o l’eutanasia, intrappolando la vita nei suoi due confini naturali, l’inizio e la fine. In parlamento è scoppiata una ennesima bagarre dopo l’approvazione del cosiddetto emendamento Malagola: “Le regioni organizzano i servizi consultoriali nell’ambito della Missione 6, Componente 1, del Piano nazionale di ripresa e resilienza, e possono avvalersi, senza nuovi o maggiori oneri, anche del coinvolgimento di soggetti del terzo settore che abbiano una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità”.
Le opposizioni sono insorte denunciando un vero e proprio attacco alla libertà di autodeterminazione della donna, in concreto alla sua decisione di abortire. Per loro la donna è libera solo quando decide di abortire, per cui è scattata la grande accusa ad un governo che permette alle Regioni di avvalersi di associazioni che offrano sostegno alla maternità. Peccato che nell’evidente ideologizzazione di un tema di così grande interesse molti deputati abbiano dimenticato che da quasi 50 anni esistono già delle norme che vanno in questa direzione: la legge 405/1975 con cui vengono istituiti i consultori familiari e la legge 194/1978, che all’articolo 2 afferma: “I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”.
Quest’ultima, come è noto, è la cosiddetta legge sulle “Norme per la tutela sociale della maternità e l’interruzione volontaria della gravidanza”, più conosciuta come legge sull’aborto. Le norme attuali di fatto consentono già il coinvolgimento del terzo settore, con la dichiarata intenzione di aiutare la maternità difficile dopo la nascita. Ossia venire incontro a quelle situazioni complesse in cui il desiderio di maternità si dovrebbe misurare con un contesto socio-economico che la donna teme di non sapere o di non potere affrontare senza un aiuto supplementare. Il tanto contestato emendamento Malagola in realtà si inserisce in una maggiore e migliore applicazione della legge 194, venendo incontro alle persone più fragili; aiutandole a decidere senza sentirsi sole davanti ad ostacoli che possono apparire insormontabili. L’emendamento in realtà dà maggiore e migliore attuazione al senso di una legge che parla di tutela sociale della maternità, ma che in realtà finora si è limitata ad applicare solo la seconda parte di quello stesso titolo: l’interruzione volontaria della gravidanza. Dunque aumenta i confini delle scelte possibili di una donna in gravidanza, facendole sperimentare il valore di una solidarietà operativa che a titolo del tutto gratuito si pone al servizio delle sue nuove esigenze.
D’altra parte l’emendamento parla di una opzione possibile, quando afferma che le Regioni possono avvalersi delle associazioni con una qualificata esperienza nel sostegno alla maternità, senza esserne obbligate a farlo. Ma cosa significhi sostegno alla maternità potrebbe non essere del tutto chiaro, se si tiene conto che molti organismi internazionali utilizzano l’espressione “tutela della salute sessuale e riproduttiva” proprio per indicare l’aborto. Ora, è vero che le due espressioni non sono sovrapponibili, ma davanti al rischio di fraintendimenti e di equivoci non solo linguistici, occorrerà fare riferimento proprio all’indignazione delle opposizioni in questi giorni. Per tutte loro, nessuna esclusa, l’interpretazione è stata tanto intensa quanto inequivocabile: il riferimento è alle associazioni capaci di prendersi cura della donna e del bambino nell’ambito di una relazione speciale come è quella di madre e figlio. La scelta per una donna che deve affrontare una maternità che le sembra difficile, a qualsiasi titolo, economico, sociale, psicologico, si amplia se vengono messe a sua disposizione nuove risorse su misura delle sue esigenze.
Eppure dall’opposizione si sono alzate voci che hanno affermato: “Questo governo continua nella sua battaglia contro le donne e contro i loro diritti e lo fa attaccando in primis la legge 194 e il diritto all’interruzione di gravidanza. È vergognoso. Ci batteremo in Parlamento e fuori, affianco alle associazioni femministe, per impedire alla destra questo ennesimo attacco ai diritti delle donne”. Eppure il Governo, con il consenso per ora di un ramo del Parlamento, sta solo applicando più e meglio quanto previsto dalla 194. E da +Europa è arrivato il collegamento esplicito tra l’emendamento in questione e la recente mozione approvata dal parlamento europeo: “Mentre il Parlamento europeo chiede che l’interruzione di gravidanza entri nella carta dei diritti fondamentali dell’Ue, il governo Meloni si mette alla guida dei Paesi Ue che vogliono cancellare questo diritto”. Uno spunto importante per riflettere anche sull’Europa che vogliamo e sui futuri rappresentanti che vogliamo mandare in Europa.
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