NEW YORK — Tanto per cominciare non ho mai ben capito perché quelli che considerano l’esistenza del feto come vita sarebbero i conservatori, mentre quelli che la considerano nulla più che un grumo di sangue sarebbero i progressisti. In secondo luogo non ho mai capito perché per tanti americani l’aborto sia l’unico ed ultimo parametro alla radice di qualsiasi scelta politica. In terzo luogo non ho mai capito la strana, schizofrenica polarizzazione di questo paese sul tema vita&morte, con coloro che sono favorevoli senza scrupolo alcuno all’aborto solitamente contrari alla pena di morte e coloro che sono contrari all’aborto, privi di dubbi sulla legittimità ed eticità della pena capitale. Nel marasma ideologico che è andato montando in questi anni, l’aborto continua ad essere uno dei principali strumenti di battaglia politica, e certamente tra i temi più violentemente controversi, tra quelli che più generano disaccordo, divisione ed ostilità. Quella dell’aborto è una battaglia senza fine, senza tregua e senza vincitori che si trascina dal 1973, anno della celeberrima pronuncia della Corte suprema, Roe vs Wade. Pronuncia salutata ed amata da alcuni come il nuovo inizio dell’emancipazione femminile, disprezzata e combattuta da altri come segno della fine della civiltà occidentale.

Sicuramente incoraggiati dalla massiccia presenza “cattolica” creatasi all’interno della Supreme Court con le due più  recenti “entries” a firma Trump (Neil Gorsuch e Brett Kavenaugh), alcuni legislatori si sono messi all’opera nel tentativo di promulgare normative fortemente limitanti il diritto all’aborto. Parlare di “limitazione” significa in buona sostanza ridurre la possibilità di interrompere volontariamente la gravidanza alle prime settimane, cinque o sei. Perché cinque o sei? Perché quello è il tempo in cui abitualmente è possibile percepire il battito cardiaco del feto. Il battito del cuore come il segno inequivocabile della presenza di una nuova vita, con tutta la sacralità ed il diritto ad esistere che una nuova vita chiede. Questo è il “bill”, la legge che Brian Kemp, Governatore della Georgia, ha appena firmato. La Georgia segue cosi Mississippi e Ohio che hanno già approvato normative analoghe. L’Alabama c’è quasi, ma sono un paio di dozzine gli Stati in cui si sta combattendo questa battaglia legislativa. Ed è una battaglia vera, tanto che in Kentucky un giudice federale ha bloccato la nuova legge approvata dai pubblici rappresentanti e firmata dal Governatore Matt Bevin bollandola come incostituzionale.

Come spesso accade le star dello spettacolo – vere o presunte che siano – sono tra le prime a scendere in campo. Solitamente a “gamba tesa”, come quelle che hanno già detto che a causa di queste norme restrittive appena approvate non lavoreranno più in Georgia (un business cine-televisivo di oltre 3 miliardi di dollari a cui lo Stato del Sud non vorrebbe certamente rinunciare).

Questa volta però riscontriamo anche una entrata a “gamba chiusa”. Alyssa Milano, attrice 46enne di Bensonhurst (la vecchia “Broccolino” degli immigrati italiani che furono) ha lanciato un bello sciopero del sesso: “I nostri diritti sulla riproduzione sono stati cancellati. Fino a quando le donne non avranno il controllo legale sui propri corpi, noi non possiamo rischiare di rimanere incinte. Unitevi a me, non facciamo sesso fino a quando non riavremo indietro la nostra autonomia sul corpo. Lancio un appello per lo sciopero del sesso (#SexStrike). Passa parola”. E cosi c’è chi ha cominciato a passare anche questa parola. Che poi dalle parole si passi ai fatti …

Comunque purtroppo non è che ci sia molto da ridere.

Il muro al confine col Messico, grazie a Dio, ancora non l’abbiamo, ma quello tra di noi, il “Great Divide”, il muro della “grande divisione” sembra crescere più forte ed invincibile con ogni giorno che passa. Trump lo cavalca, i suoi nemici lo vogliono abbattere. Costruendone un altro.

 God Bless America