LA STORICA SENTENZA DELLA CORTE SUPREMA SULL’ABORTO NEGLI USA: IL TEMA CENTRALE NELLE ELEZIONI USA 2024

Il 24 giugno 2022 rischia di unirsi “idealmente” al 5 novembre 2024: dalla storica sentenza di abolizione della “Roe vs Wade” sull’aborto garantito a livello costituzionale, la Corte Suprema ha posto uno dei punti di maggiore scontro tra i Democratici e i Repubblicani che arriva direttamente fino alle Elezioni Presidenziali Usa 2024 di queste ore. Con Biden e Kamala Harris che nel loro programma Dem già puntavano a far approvare una legge al Congresso che imponesse una norma federale sull’aborto – senza però riuscirci, vista la minoranza al Senato – si è poi giunti allo scontro durissimo in campagna elettorale tra la candidata democratica e la stessa Corte Suprema Usa, a maggioranza repubblicana dopo le ultime due nomine sotto la presidenza Trump (2016-2020).



Se l’aborto è già storicamente uno dei temi più divisivi tra l’elettorato americano, con l’astio profondo tra pro-choice e pro-life che spesso è sfociato in passato in acredine e legislazioni contrapposte, la sentenza “Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization” del 2022 che ha completamente ribaltato la precedente Roe vs Wade del 1973, sempre della Corte Suprema americana, ha aperto una spaccatura fragorosa negli Stati Uniti d’America. In sostanza, i giudici federali annullando la sentenza precedente hanno concordato che non vi è un diritto costituzionale all’aborto, semmai vi deve essere una legislazione dei singoli Stati in base alla libertà del popolo e dei rappresentanti eletti. Biden e Harris hanno gridato fin due anni fa allo scandalo, con i Repubblicani accusati di voler eliminare il diritto primario delle donne per fini elettorali: in campagna verso le Elezioni Usa 2024 la leader Dem ha rintuzzato la sfida promettendo – seppur dopo le parole durissime di Papa Francesco contro le posizioni di Harris considerate «omicide contro la vita dei bambini» – una legge nazionale federale qualora vincesse la sfida alla Casa Bianca.



Una legge che reinserisca il diritto di abortire e che impedisca alla Corte Suprema Usa di poterla “cancellare” in futuro: di contro, Trump ha confermato la sua linea pro-life come gran parte dei Repubblicani, con un distinguo che ha fatto discutere anche il suo stesso GOP. Ha innanzitutto smentito le accuse dem che lo volevano sostenere il divieto nazionale dell’aborto una volta fosse stato rieletto, e ha aggiunto quanto sia giusto che ogni singolo Stato decida sull’aborto senza che la Presidenza degli Stati Uniti o il Congresso impongano una legge pro-choice o Pro-life. Trump ha per questo criticato gli eccessi in ambo le parti: sia quando alcuni Stati dem spingono per un’aborto sempre e comunque fino alla nascita, sia quando altri Stati repubblicani puntano a leggi molto restrittive contro l’interruzione volontaria di gravidanza. In termini di sondaggi, l’elettorato americano ha visto con maggiore interesse il fronte Dem sul tema dell’aborto, riconoscendo però al candidato Repubblicano di non voler sostenere il divieto assoluto di abortire, semmai la posizione più “light” di rispetto dell’ultima sentenza della Corte federale.



COSA DECISE LA SENTENZA ROE VS WADE E PERCHÈ IL RIBALTAMENTO NEL 2022 NON HA ELIMINATO IL DIRITTO DI ABORTIRE

Nel 1973 la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America con una sentenza poi divenuta pietra miliare della politica americana, decise che fosse giusto costituzionalmente il diritto all’aborto a livello federale: prima degli Anni Settanta non esisteva alcuna legislazione federale in tema, semmai l’aborto era disciplinato con singole leggi proprie con almeno una trentina di Stati che lo riteneva un vero e proprio reato. La sentenza “Roe vs Wade” – che nasce dalla richiesta della ragazza Jane Roe (vero nome Norma McCorvey) sul diritto di abortire contro lo Stato del Texas, rappresentato dall’avvocato Henry Menasco Wade – di fatto decise il diritto federale di abortire fino alle 28 settimane del feto (o anche in caso di pericolo per la donna oltre la soglia fissata).

Una sentenza che cambia radicalmente la legislazione in ben 46 Stati su 58 che non prevedevano tale norme a “maglie larghe” fissate dalla Corte Suprema a maggioranza democratica: con il passare dei decenni e con le abitudini anche mondiali decisamente cambiate, il tema dell’aborto è rimasto elemento garantito non a livello legislativo ma “meramente” giurisprudenziale, senza che nessuno abbia mai contestato tale assunto. Tutto fino al 2022 quando lo Stato del Mississipi che aveva vietato l’aborto oltre le 15 settimane si è visto bloccare tale norma dalle Corti statali. L’appello alla Corte Suprema ha poi portato al ribaltamento storico della Roe vs Wade, annullata e abolita rimandando alle singole legislazioni nazionali il merito dell’aborto volontario.

Erroneamente a quanto sostenuto dalla propaganda successiva alla sentenza del 2022, la Corte Suprema Usa non ha eliminato il diritto all’aborto, bensì ha definito incostituzionale – cioè non inserito in alcuna legge all’interno della Carta Costituzionale – il “diritto federale all’aborto”. In questo modo, «l’autorità di regolare l’aborto torna al popolo ed ai rappresentanti eletti», si legge nella sentenza del giugno 2022 che trovò il voto favorevole di 6 giudici con solo 3 contrari (di area liberal, ovvero Sonia Sotomayor, Stephen Breyer e Elena Kagan). In caso di vittoria Dem sia alla Casa Bianca che alla Camera che nel terzo di Senato al voto sulle Elezioni Usa 2024, è probabile che una delle prime leggi firmate sarà proprio una norma che introduca a livello federale l’aborto “come diritto”; viceversa, con la vittoria repubblicana si potrebbe proseguire con quanto stabilito dalla Corte Suprema nella sentenza “anti” Roe vs Wade.