La Toscana prende la direzione opposta all’Umbria e non poteva essere altrimenti visto il “colore” delle rispettive giunte: dopo le polemiche per la pillola abortiva e il divieto del day hospital imposto dalla Governatrice della Lega Donatella Tesei, la giunta uscente di Enrico Rossi in Toscana approverà lunedì prossimo una delibera regionale per permettere di somministrare il farmaco per l’aborto anche in strutture territoriali, ambulatori e senza alcun ricovero in ospedale (anche se dovranno comunque essere collegate ad una struttura ospedaliera, ndr). La pillola Ru486, permessa dalla Legge 194 che in Italia norma la materia, vedrà per la prima volta una Regione – la Toscana appunto – la possibilità di utilizzare il sistema del day hospital per consegnare il farmaco alle donne che desiderano interrompere la gravidanza (sempre nei tempi definiti dalla legge).
Da tempo la richiesta era stata formulata da diverse giunte di centrosinistra, ma è con l’emergenza Covid-19 che si è innalzata l’esigenza di ridurre il più possibile le durate delle pratiche ospedaliere per evitare ulteriori contagi. Dopo che la decisione della giunta umbra, era stato proprio il Ministro Roberto Speranza (dello stesso partito del Governatore Enrico Rossi, ndr) a chiedere al Consiglio Superiore di Sanità un nuovo parere per permettere l’aborto farmacologico in day hospital, 10 anni dopo il precedente (negativo) parere ufficiale.
IL CASO UMBRIA E LE POLEMICHE NEL GOVERNO
«Siamo stati i primi a somministrare la Ru486, acquistandola all’estero, perché la ritenevamo più appropriata rispetto all’aborto chirurgico in certe situazioni — attacca il governatore Enrico Rossi in una nota pubblica—. Ben prima della sciagurata decisione dell’Umbria avevamo ritenuto di fare questa delibera, per evitare alle donne, quando è possibile, di recarsi nei reparti di ginecologia»: il n.1 della Regione Toscana difende la propria decisione e aggiunge «necessario che l’ambulatorio sia collegato all’ospedale, per risolvere eventuali problemi. È inutile far soffrire le donne più di quanto già non debbano fare di fronte a decisioni non certo semplici come quella di abortire».
Addirittura Rossi sostiene che solo chi intende «punire le donne cerca di rendergli le cose più difficili»: di contro, la collega Tesei nell’intervista a Repubblica del 15 giugno scorso ha spiegato di applicare semplicemente la legge 194 e le linee guida attuali del Ministero della Sanità che dicono «per l’aborto farmacologico ci vogliono tre giorni di ricovero». Vero è che nella stragrande maggioranza dei casi le donne che prendono la pillola abortiva in ospedale subito dopo firmano per le dimissioni e interrompono il ricovero, ma è altrettanto vero che nella legge 194 non si parla di “pillola in day hospital” e “negli ambulatori”, anche perché all’epoca della scrittura ancora l’avanzamento della farmacologia in tal senso era non pienamente sviluppato. Nei giorni scorsi addirittura Roberto Saviano si è scagliato contro l’Umbria della giunta Tesei definendola una scelta «gravissima, irrazionale, irrispettosa e che non c’entra con la sicurezza delle donne, ma è l’ennesima picconata alla legge 194»; l‘ex senatrice Paola Binetti, in esclusiva pochi giorni fa al Sussidiario.net, spiega «la legge 194 prevede che una donna possa abortire esclusivamente in ospedale, ma lascia alle Regioni la possibilità di organizzarsi diversamente, quindi quanto deciso dalla giunta umbra di Donatella Tesei è pienamente legale».