Il braccio di ferro tra i tribunali degli Stati Uniti sull’ormai famoso S.B. 8 (Senate Bill 8) continua, con rimbalzi da una corte all’altra. La legge del Texas, che dichiara illegale l’aborto dopo che è possibile rilevare il battito del cuore del feto, era stata momentaneamente bloccata da un giudice federale. La scorsa settimana il giudice Robert Pitman aveva accolto, infatti, il ricorso presentato dall’Amministrazione Biden e sospesa la legge in quanto incostituzionale. Una decisione applaudita da Biden, almeno stando alle parole della sua portavoce, Jen Psaki, che così ha commentato la decisione, secondo quanto riporta Reuters: “[…] un importante passo verso la restaurazione dei diritti costituzionali delle donne nello stato del Texas. La lotta è solo iniziata, sia in Texas che in molti altri stati del paese dove i diritti delle donne sono attualmente sotto attacco”.



Lo stato del Texas, a sua volta, aveva presentato immediatamente ricorso contro la decisione del giudice federale presso la Corte di Appello di New Orleans, che venerdì scorso ha rimesso in vigore lo S.B. 8. Il Dipartimento di Giustizia dovrà produrre le sue osservazioni entro martedì e non è improbabile un nuovo ricorso alla Corte Suprema. Quest’ultima aveva recentemente dichiarato di non vedere motivi per bloccare la legge del Texas, che era quindi entrata in vigore l’1 settembre.



La Corte Suprema dovrà discutere prossimamente anche un ricorso dello stato del Mississippi, che nel 2018 aveva approvato una legge che proibiva gli aborti dopo 15 settimane di vita del feto. Questa disposizione violava il limite di 24 settimane previsto dalla sentenza del 1973 nota come “Roe vs Wade”, base dell’asserito diritto costituzionale ad abortire. La Corte potrebbe quindi trovarsi di fronte alla scelta tra annullare la legge del Mississippi o cancellare la “Roe vs Wade”.

I sostenitori dell’aborto accusano l’attuale Corte Suprema di essere particolarmente conservatrice, grazie alle recenti nomine fatte da Donald Trump, e temono una possibile, pur improbabile, cancellazione di diritti che ritengono definitivamente acquisiti. Secondo Planned Parenthood, la più grande organizzazione abortista, se la decisione del 1973 venisse rovesciata vi sono già 26 stati pronti a legiferare contro il diritto di aborto. Ed aggiunge che quest’anno sono state introdotte a livello statale quasi 600 limitazioni all’aborto, di cui più di 90 diventate leggi.



Quanto sta accadendo conferma la sparizione dal dibattito di ogni riferimento oggettivo e scientificamente provabile di quando il feto possa essere considerato un essere umano e, quindi, un omicidio la sua eliminazione. Il battito cardiaco è un elemento oggettivo, ma non è di questo che si discute: il problema, si dice, è che a sei settimane, quando il battito è udibile, molte donne non si sono neppure accorte di essere incinte. Ciò costituirebbe una gravissima violazione del loro diritto di decidere se concedere la vita o meno al loro bambino. Una revisione in funzione femminista dell’antico diritto di vita e morte sui propri figli del pater familias romano.

Il dibattito sta anche assumendo connotati sempre più partitici, Democratici progressisti contro Repubblicani reazionari, lasciando in disparte ogni considerazione culturale, sociale e, tanto meno religiosa. E ciò malgrado le nette posizioni prese da diverse personalità religiose, in prima linea da Papa Francesco, ma la sua netta definizione dell’aborto come un omicidio non pare aver scalfito le certezze contrarie di cattolici come il presidente Joe Biden e la speaker della Camera Nancy Pelosi.

Enrico di Navarra si è reso famoso con il suo “Parigi val bene una messa”, prima di abiurare il calvinismo per diventare Enrico IV re di Francia; Biden rischia di passare alla storia per un “la Presidenza val bene un aborto”. Solo che Enrico disponeva di se stesso, Biden di migliaia di bambini uccisi nei ventri delle loro madri, in nome del “diritto”.

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