Martedì 12 aprile il governatore dell’Oklahoma, Stato grande due terzi dell’Italia ma con circa 4 milioni di abitanti che si trova al centro-sud degli Stati Uniti d’America, ha firmato una delle leggi più restrittive mai presentate negli Usa in tema di aborto. La normativa è stata approvata dal Senato dell’Oklahoma a fine 2021, è stata confermata dalla Camera nei primissimi giorni di aprile con una maggioranza schiacciante (70 voti a favore e solo 14 contrari) e dovrebbe entrare in vigore tra circa 90 giorni. Viene punito chi effettua aborti con sanzioni economiche fino a 100mila euro o in alternativa con il carcere, fino a un massimo di 10 anni, ma non sono previste sanzioni per le donne che si sottopongono all’aborto.
Sono previste esenzioni per gli aborti effettuati in caso di terapie salvavita per la madre, ma non per quelli effettuati nei casi di stupro o incesto. Interrogato sul punto, il principale relatore della normativa, il deputato repubblicano Jim Olsen, ha dichiarato che lo stupro e l’incesto sono crimini orribili, ma che se anche il bambino viene concepito in una situazione orribile “he still has a right to life”.
Questa normativa va letta nel solco del tentativo portato avanti da molti politici repubblicani di rialzare il livello dello scontro sul tema dell’aborto, a 50 anni dall’approvazione da parte della Corte Suprema statunitense della sentenza Roe vs Wade, che ha reso illegittime tutte le normative che sanzionavano l’aborto fino al momento in cui il feto è “vitale” al di fuori dell’utero (ovvero fino a circa la 24esima settimana). L’amministrazione Biden e il Partito democratico stanno preparando la controffensiva con il “Woman’s Health Protection Act”, una legge che codifica il principio contenuto nella sentenza Roe vs Wade in un atto normativo a carattere federale. Tale proposta è ad oggi bloccata in Senato per l’opposizione di alcuni senatori centristi (oltre che di tutto il Partito repubblicano) e desta comunque qualche dubbio di costituzionalità in relazione alla competenza del governo federale a legiferare su questo tema.
Senza dubbio la normativa da poco approvata in Oklahoma sarà sfidata dagli attivisti Pro-Choice nelle corti, dove difficilmente potrà non essere bloccata, stante l’aperta contrarietà alle previsioni della sentenza federale Roe vs Wade. Tuttavia la Corte Suprema, che ha recentemente accettato di esaminare il caso di una legge del Mississippi che bloccava l’aborto oltre la 15esima settimana, potrebbe a breve ridimensionare notevolmente il valore di quella sentenza. Magari contemperando la libertà di scelta della madre con il diritto alla vita del nascituro.
Nel mentre è stata confermata dal Senato federale la nomina da parte del presidente Biden di Ketanji Brown Jackson come giudice della Corte Suprema, in sostituzione dell’ottantenne giudice Stephen Breyer, che si è recentemente dimesso. Tale nomina, fortemente voluta dal presidente Biden, che già in campagna elettorale aveva annunciato che avrebbe nominato, se eletto, una donna afroamericana alla Corte, non modifica gli equilibri della stessa, ancora fortemente pendenti sul lato repubblicano. La neo-giudice Jackson è stata protagonista, durante le audizioni, di un curioso siparietto, in cui, a una domanda precisa fatta dalla senatrice repubblicana Marsha Blackburn di dare una definizione di donna (si discuteva proprio dei diritti delle donne) ha risposto di non essere in grado di dare una definizione in quanto “I’m not a Biologist”. Tale risposta, evidentemente data (o meglio, non data) per non scontentare né il mondo femminista storico né quello Lgbt, mostra come il fronte liberal, che sembra molto compatto sui temi etici, è in realtà profondamente diviso al suo interno da diverse anime, che però vengono compattate dalla battaglia contro leggi come quelle dell’Oklahoma.
All’interno del variegato modo pro-life americano (ma non solo) sorge quindi il dubbio se la strada migliore per contrastare l’aborto sia la proposizione di normative che lo vietino del tutto (ma che hanno poche probabilità di essere approvate o di essere confermate dalla giurisprudenza, e che comunque faticherebbero a contrastare la piaga dell’aborto clandestino) o invece l’attenta proposizione di normative che limitino l’accesso all’aborto, unita a un incessante lavoro di sostegno alla natalità, fatto di incentivi economici e sussidi, ma anche dell’attività dei numerosi centri di aiuto alla vita che offrono alle donne che desiderano abortire compagnia, aiuto, supporto. Insomma, fanno intravvedere che una strada diversa è non solo possibile, ma, forse, conveniente.
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