“In God we trust”, abbiamo fede in Dio. La dichiarazione che compare sul retro del “dollar bill”, delle banconote, è stata la prima cosa a venirmi in mente quando, resa pubblica la pronuncia della Corte Suprema in merito all’aborto, hanno cominciato a sollevarsi con grande forza venti di levante e venti di ponente. Ovvero inni di giubilo e pianti greci, manifestazioni celebrative e proteste più o meno rabbiose. Dopo quasi mezzo secolo di legittimità, l’aborto non è più un diritto costituzionale perché non avrebbe mai dovuto esserlo. Questo ha decretato la Corte.
Per dirla in parole povere, la Corte (il cui compito è quello di vagliare la costituzionalità delle questioni, non esprimere giudizi morali né tantomeno di legiferare) ha stabilito che nella Costituzione non c’è nulla che giustifichi la tutela dell’aborto e che nulla pertanto impedisce agli Stati di limitarlo o persino vietarlo. In buona sostanza la questione è rimessa ai singoli Stati. Saranno loro, con i loro organismi eletti dai cittadini a scegliere, decidere e legiferare in merito.
È difficile comprendere ed accettare che si sia davanti ad una pronuncia strettamente giuridica e non etica, ma questo è proprio ciò che la maggioranza dei giudici ha voluto fare ed affermare, Samuel Alito in testa. Resta tuttavia il fatto che siano stati i sei giudici che possiamo considerare conservative ad appoggiare la pronuncia ed i tre liberal ad opporvisi. In un Paese che conta all’incirca 1 milione di aborti all’anno ed in cui oltre il 65% della popolazione si dichiara favorevole a qualche forma di pratica abortiva, la decisione della Corte è arrivata come un terremoto lungamente atteso, temuto, inevitabile e non prevenibile. Una decisione – dal punto di vista della mentalità – totalmente contro tendenza.
Stiamo vivendo i tempi più “liberal” e “progressisti” (si fa per dire) di sempre e la Corte Suprema cancella Roe vs Wade. Ci riporta a cinquant’anni fa, dicono gli oppositori, ci riporta alla verità delle cose, dicono gli altri.
“I think the Supreme Court has made some terrible decisions” – penso che la Corte Suprema abbia preso delle terribili decisioni – ha detto subito Joe Biden (il cui partito ha sempre appoggiato l’aborto anche nelle sue forme più barbariche) riferendosi oltre che alla decapitazione di Roe vs Wade anche alla pronuncia di giovedì scorso in difesa del diritto di portare armi. “Una giornata storica”, ribatte Jessica Rodgers da una convention pro-life ad Atlanta.
Oltre alla difficoltà, come accennavo sopra, ad osservare la pronuncia da un punto di vista strettamente giuridico, si aggiunge ancora una volta quella di comprendere il rapporto tra la Corte Suprema ed il potere politico in questo sistema fatto di checks and balances. Perché i giudici che leggono ed interpretano la costituzione, giudici nominati a vita, vengono e vanno quando vuole il padreterno, non quando decide chi è al potere. È per questo che mi e venuto in mente quel “In God we trust”. È come se il sistema fosse ultimamente ancorato ad una logica “provvidenziale”. Allora affidiamo a Dio attraverso tutti gli uomini di buona volontà il cammino potenzialmente promettente ma anche pericolosamente divisivo su cui questa pronuncia ci mette.
Vita, libertà, ricerca della felicità… il primo pilastro di questo Paese rilancia la sua sfida.
God bless America!
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