GUERRA SULL’ABORTO NEGLI USA: ATTESA LA SENTENZA SULLA PILLOLA RU486

Dopo la sentenza storica della Corte Suprema Usa dello scorso luglio 2022 lo scenario sull’aborto negli Stati Uniti potrebbe ulteriormente modificarsi nelle prossime settimane: è in corso la decisione (che potrebbe giungere già nei prossimi giorni) di un giudice del Texas in merito al potenziale divieto di vendita/distribuzione a livello nazionale della “pillola del giorno dopo” (la famosa pillola RU486 o mifepristone). Dallo scorso 24 febbraio infatti il giudice federale del Texas, Matthew Kacsmaryk (nominato da Trump con orientamento repubblicano) può in ogni momento depositare la sua decisione su un ricorso presentato dalle associazioni pro-life contro l’Agenzia americana del farmaco sull’autorizzazione (FDA) concessa nel 2000, della RU486.



Al momento il 54% degli aborti negli Stati Uniti avvengono a livello farmacologico, specie dopo l’annullamento del diritto “federale” di aborto sancito dalla Corte Suprema (che rimanda ai singoli Stati la decisione sul diritto o meno d interruzione della gravidanza): l’eventuale divieto di vendita della “pillola del giorno dopo” porterebbe una drastica diminuzione degli aborti in quanto la RU486 è una dei due farmaci utilizzate per le interruzioni di gravidanza farmacologiche (l’altro è il misoprostolo, legale l’assunzione fino alla decima settimana di gravidanza). Dal Texas al Kansas, come in altri Stati a orientamento repubblicano, viene richiesto il divieto di distribuzione della “pillola abortiva” in quanto vi sarebbero numerosissimi casi di aborto illegale tramite o spostamenti in altri Stati oppure tramite scambio di persona.



ABORTO E PILLOLA, IRA DEM E APPELLI PRO-CHOICE ALL’ONU

La sentenza del giudice Kacsmaryk dovrebbe decidere se accogliere la richiesta dei querelanti pro-life di un’ampia ingiunzione che potrebbe vietare la distribuzione del farmaco a livello nazionale: questa prospettiva ha sollevato non poche preoccupazioni all’interno dell’industria, dell’amministrazione Dem di Joe Biden e dei gruppi per i diritti delle donne per le conseguenze di vasta portata di una tale mossa. La guerra lanciata dal Partito Democratico di Biden e Kamala Harris dopo la sentenza della Corte Suprema è serrata, con la Casa Bianca che ha già fatto sapere che qualsiasi ulteriore “ban” sul tema aborto, presentato al Congresso, troverà bocciatura tramite diritto di veto. «Il divieto della pillola abortiva su tutto il territorio nazionale sarebbe senza precedenti e devastante per le donne: ci troveremmo in un territorio sconosciuto», ha fatto sapere la portavoce dell’esecutivo Usa, Karine Jean-Pierre, negli scorsi giorni dalla Casa Bianca.



Appelli alle organizzazioni internazionali, financo alle Nazioni Unite, giungono dai dem Usa e da diverse organizzazioni sui diritti umani “pro-choice”: in una lettera inviata lo scorso 1 marzo da quasi 200 organizzazioni ed esperti, i firmatari spiegano come, dall’annullamento del diritto costituzionale federale all’aborto nel giugno 2022, «circa 22 milioni di donne e ragazze in età riproduttiva vivono in Stati in cui l’accesso all’aborto è ora vietato o inaccessibile». Hanno firmato l’appello pro-aborto presso l’ONU il Global Justice Center, Pregnancy Justice, Amnesty International e Human Rights Watch: «Abbiamo assistito a un costante servizio di supporto  da parte dell’amministrazione Biden-Harris ma solo a parole». Secondo il Global Justice Center, l’amministrazione Biden potrebbe rendere più facilmente disponibili «i farmaci per l’aborto eliminando le norme inutili su alcuni farmaci». Appelli, interventi e marcie pro-choice: il tutto contro decisioni che, se verranno prese, restano all’interno della cornice istituzionale e democratica di uno Stato. Certamente il dibattito sulla vita e sui rischi dell’aborto resta apertissimo e non può essere chiuso né da una parte né dall’altra: invocare però l’intervento addirittura delle Nazioni Unite per “bloccare” un processo democratico, seppur non gradito all’opinione comune di stampo “liberal”, è tutt’altra questione.