A settembre è entrata in vigore in Texas la legge (Senate Bill 8) che proibisce l’aborto dopo che è stato rilevato il battito del cuore del feto, cosa possibile normalmente a partire da sei settimane dopo il concepimento. Come prevedibile, la legge sta provocando un violento dibattito tra sostenitori e oppositori, che porta in luce tutti i pesanti risvolti politici, ideologici ed economici, come descritto da Luca Pirola sul Sussidiario. In realtà, anche altri Stati hanno approvato leggi basate sullo heartbeat, ma quella del Texas è finora l’unica ad essere entrata in vigore, dopo che la Corte Suprema ha ritenuto di non aver elementi per bloccarla.    



Questo è il primo elemento di scontro politico, perché gli oppositori hanno attribuito l’esito della votazione, 5 contro 4, alle nomine di giudici conservatori fatte da Trump. Se la Corte fosse rimasta quella dei tempi di Obama, a maggioranza progressista, la legge sarebbe stata giustamente bocciata, evitando che vincessero reazione e oscurantismo.



La liceità o meno dell’aborto dovrebbe però essere una questione oggettiva, non ideologica o di schieramento politico, e dovrebbe rispondere a una domanda essenziale: l’aborto è una manifestazione di libertà da proteggere legalmente, o “l’aborto è più di un problema, l’aborto è un omicidio. L’aborto… senza mezze parole: chi fa un aborto, uccide”, come affermato recentemente dal Papa? Sembrerebbe naturale e logico pensare che nel grembo della donna vi sia un essere vivente, un bambino sul cammino verso la nascita, e che lo sia  fin dal suo concepimento, come afferma la Chiesa. Chi lo nega è costretto a stabilire il momento in cui “quell’ammasso di cellule” diventa un essere umano degno di protezione.



Le legislazioni attualmente vigenti negli Stati Uniti pongono l’inizio di una vita difendibile alle 24 settimane, spesso ridotte a 20, dopo di che l’aborto è ammissibile solo in precise e provate circostanze. Il termine fa riferimento al momento in cui il bambino è in grado di sopravvivere al di fuori del grembo materno, ma il criterio della capacità di sopravvivenza autonoma è molto discutibile e pericoloso. A questo proposito è significativo il logico, ma preoccupante, ragionamento del filosofo australiano Peter Singer. Singer ritiene evidente che nel grembo vi sia un essere umano, anche alla sesta settimana, ma non è ancora un essere razionale e autocosciente e non può avere gli stessi diritti di un essere già arrivato a una piena coscienza di sé. Di conseguenza, gli interessi della madre devono prevalere su quelli del bambino e ciò dovrebbe valere anche dopo la nascita, per esempio per bambini, per così dire, “difettosi”.

In questo modo la questione viene spostata nel campo dei diritti, punto centrale nel dibattito sulla legge del Texas, accusata di rappresentare una inaccettabile violazione del diritto della donna all’aborto. Un diritto che sarebbe diventato costituzionale dopo la sentenza della Corte Suprema del 1973, conosciuta come Roe contro Wade (anche allora era in discussione una legge del Texas). La gestazione diventa un fatto privato che la donna ha il diritto di gestire come crede, senza interventi esterni che ne limitino la libertà. Il bambino viene considerato proprietà della madre, che ha pieno diritto di disporne. Principio del resto alla base del commercio dell’utero in affitto.

Su questa base di anticostituzionalità, l’Amministrazione Biden ha impugnato la legge e Biden stesso ha definito la decisione della Corte Suprema un attacco senza precedenti ai diritti delle donne. Anche Nancy Pelosi, speaker della Camera dei Rappresentanti, si è scagliata contro la decisione della Corte, annunciando la presentazione di una proposta di legge per trasformare la “Roe contro Wade” in legge federale.

Joe Biden, come Nancy Pelosi, è cattolico e si è dichiarato personalmente contro l’aborto, ma a quanto pare questo rimane un giudizio privato che non ha alcun rilievo nella sua attività di Presidente. Questa posizione sembra difficile da mantenere dopo la netta definizione di Papa Francesco dell’aborto come omicidio, e non è pensabile che un politico cattolico possa sostenere un omicidio di Stato. Biden, infatti, si è giustamente dichiarato contrario alla pena di morte e ha promesso azioni per quantomeno ripristinare la moratoria sulle esecuzioni, riprese invece da Trump alla fine del suo mandato. Azioni che evidentemente Biden non ritiene necessarie per gli innocenti condannati a morte nel seno materno.

A questo punto è lecito pensare che il criterio guida non stia nelle convinzioni religiose, ma nel voto degli elettori: i Repubblicani sono tendenzialmente in favore della pena di morte e contro l’aborto, mentre il contrario vale per i Democratici. Poi, ciascuno può pensare quello che vuole, ma in privato e senza interferire nella sfera pubblica. Anche nell’Unione Sovietica la pensavano così.

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