Caro direttore,
ho letto la tanto discussa sentenza della Corte Suprema statunitense in merito al diritto di aborto. Leggere il testo originale mi ha aiutato a fare chiarezza e reso più consapevole della distorsione informativa riguardo a questa vicenda. Non voglio fare una sintesi della sentenza, credo che chi volesse davvero comprendere quanto accaduto abbia già avuto modo di farlo riferendosi a fonti autorevoli.
Desidero condividere l’aspetto che più mi ha interessato e incuriosito. La parola che domina nel testo della sentenza è “liberty”, utilizzata più di trenta volte. Le parole “liberty” e “freedom” significano entrambi “libertà”, ma hanno sfumature diverse. “Freedom” indica il concetto più ampio e generale, mentre “liberty” si riferisce allo status di libertà dell’individuo all’interno della società. Essa esprime un concetto particolare di libertà e allude direttamente al rapporto individuo-società.
La centralità di questa parola è dovuta allo scopo della sentenza stessa. Il punto più delicato, infatti, è stato verificare se il diritto all’aborto potesse rientrare nella categoria di “liberty” cui fa riferimento il XIV emendamento della Costituzione. Per fare questo, la Corte ha esaminato se “Il diritto all’aborto sia profondamente radicato nella storia e nella tradizione della Nazione”.
Questo è il passaggio che più ha catturato la mia attenzione: “Guidati dalla storia e dalla tradizione, dobbiamo chiederci a che cosa si riferisce il XIV emendamento con il termine “libertà” (liberty). […] Libertà è un concetto ampio. Come disse Lincoln: ‘Ci dichiariamo tutti a favore della libertà; ma pur usando la stessa parola, non intendiamo tutti la stessa cosa’.”
Forse inconsapevolmente, questo passaggio manifesta la necessità di tornare a interrogarsi sulla rilevanza e sul vero significato di parole come “storia”, “tradizione” e “libertà”. Tutte categorie essenziali per la vita di un popolo. In questo caso, chiarire a che cosa realmente si riferisca la Costituzione con la parola “liberty” è innanzitutto un’esigenza giuridica. Eppure, il contesto in cui questa sentenza si colloca e la citazione di Lincoln fanno percepire che questo interrogativo (a che cosa realmente si riferisce la Costituzione con la parola “libertà?”) assume una dimensione non solo giuridica. In una società sempre più divisa e individualista, è ancora possibile parlare di libertà in modo oggettivo? Esiste un concetto di libertà comune a tutti, oppure ci sono solo diverse interpretazioni di libertà spesso inconciliabili? Qual è il valore della storia e della tradizione?
Credo che l’estrema polarizzazione della società cui si è arrivati sia dovuta anche al radicarsi di un’idea liberista (e distorta) di libertà, ben sintetizzata da John Stuart Mill: “La sola libertà che meriti questo nome è quella di perseguire il nostro bene a nostro modo, purché non cerchiamo di privare gli altri del loro o li ostacoliamo nella loro ricerca”. Le conseguenze di questa concezione sono un’idea relativista di libertà e una considerazione dell’altro come un limite al perseguimento della libertà personale.
Ecco perché tornare a interrogarsi sul vero significato di parole come “libertà”, “storia” e “tradizione” è a mio avviso un contributo non da poco. In un momento di divisione come questo (non solo sul tema dell’aborto), può essere un aiuto per riscoprire quale sia il vero fondamento di un popolo, che cosa permetta l’unità tra individuo e società e che cosa realmente voglia dire costruire una società libera.
La sentenza ha inevitabilmente riacceso il dibattito sul diritto all’aborto e le reazioni hanno evidenziato la necessità di schierarsi rapidamente a favore o contro. Sembra non esserci uno spazio di dialogo. Sarebbe un peccato esaurire la vicenda a una presa di posizione pro o contro il diritto all’aborto e non considerare la domanda sul vero significato di libertà che emerge tra le righe di questa sentenza. Può essere un’occasione per riscoprire ciò che davvero ci accumuna.
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