Il 3 febbraio, in occasione della presentazione al Senato, presso la Sala Caduti di Nassiriya, di un Manifesto promosso da Save the Children per favorire l’adozione da parte delle realtà educative operanti con i minorenni di un sistema di tutela contro possibili violenze e abusi, Adnkronos ha rilanciato la notizia in modo vagamente velenoso. Si snocciolano dati messi a disposizione dalla stessa Save the Children, sotto un titolo che recita: “Abusi, Save the Children: scuola, oratori e palestre tra i luoghi più pericolosi”. I dati vengono così riassunti: “La scuola, gli oratori e le strutture sportive: per circa 1 adulto su 4 e 1 ragazzo su 5, in Italia, sono questi i luoghi abitualmente frequentati da bambini e adolescenti dove maggiore può essere il rischio di subire comportamenti inappropriati, maltrattamenti e abusi da parte degli adulti”, per poi scoprire, nel paragrafo successivo, che invece è internet la realtà dove i rischi sono maggiori.



Abbiamo imparato in questi anni la potenza della cosiddetta “narrativa” della cronaca, che riguarda in primo luogo l’informazione. Il modo in cui ci viene raccontata dice anche le intenzioni. Di fronte a una notizia rilanciata in questa maniera, quale genitore sano ed educativamente attento si arrischierebbe ancora a mandare i figli in “scuole, oratori o palestre”? È evidente la scorrettezza in questa forma di porre la questione che, di fronte a una lettura frettolosa com’è quella di quasi tutti, corre il rischio di gettare un’ombra di sospetto davvero ingiusto verso le organizzazioni citate così.



Come al solito, la miglior alleata per chi si ponga domande su ogni questione è un’onesta analisi di realtà. Innanzitutto, se escludiamo le scuole, le parrocchie e i centri sportivi, viene da chiedersi, quale altro luogo educativo rimane per portarci i ragazzi? Anche perché il rapporto di Save the Children cita più avanti anche gli “altri centri ricreativi”; insomma i luoghi dove i ragazzi possono stare assieme seguiti da adulti sono tutti in causa. Sembra quasi implicita la conclusione che, se non si adotta il Manifesto dell’associazione, l’alternativa unica per non correre rischi è di tenere i figli a casa, senza neppure più mandarli a scuola. Viceversa quelli sono proprio i luoghi in cui gli adulti, per lavoro o addirittura per volontariato, mettono a disposizione il tempo della loro vita per svolgere quello che è tuttora il loro compito più importante: educare un piccolo a conoscere ed entrare nel mondo, dopo che la famiglia in quel mondo ce l’ha messo. Potremmo osservare che la crisi di una società e la messa in pericolo del suo futuro sono innanzitutto conseguenza della sua crisi educativa, dell’incapacità e mancanza di volontà dei suoi adulti di accompagnare i ragazzi a diventare adulti a loro volta.



Ammettiamolo francamente: in questo modo si rischia seriamente di demonizzare chi si è assunto questo compito, spesso gratuitamente. Vista così, sembra che nei luoghi dove si fanno incontrare i ragazzi per educarli, istruirli o perfino farli svagare ci sia una probabilità molto elevata (il 20 per cento!) di abusi e violenze. Ovunque li mandiamo, non c’è scampo. Rimane solo la famiglia, ma anche lì esisterà un’alta possibilità di violenze domestiche, come prima o poi qualche solerte associazione che salva i bambini ci informerà.

Naturalmente ben venga una riflessione, anche in sede politica, che favorisca la pronta individuazione degli abusi e anzi la loro prevenzione, anche se sospettiamo che l’istituzione di regolamenti e protocolli non risolva il problema all’origine ma sia al massimo un rimedio successivo al danno: gli abusi sui minori, e su tutti, sono un’orribile malattia sociale per cui serve ben altro, un lavoro educativo, fatto magari proprio in quelle sedi – oratori, parrocchie, centri sportivi – su cui, guarda un po’, si getta un’ombra sinistra.

Importanza della narrativa, onestà dell’informazione: anche da qui nasce la collaborazione a un lavoro comune di rinforzo di quei luoghi fondamentali di crescita e di quel lavoro che un certo modo di lanciare le notizie, un po’ spettacolarizzato come minimo – sperando che non sia cattiva fede ma solo incauta leggerezza – rischia di rendere invece più arduo e ingrato a chi ci spende la vita.