In un Paese in cui il rischio idrogeologico riguarda circa il 91% dei comuni, oltre 550mila edifici, circa 3 milioni di nuclei familiari e 6,2 milioni di persone, 600mila unità locali di impresa e 78mila beni culturali, risulta abusivo quasi il 19% degli immobili, molti dei quali realizzati in zone con vincolo ambientale o entro le fasce di rispetto marittimo, lacuale o fluviale (fonte: Bes).
I report dell’Istituto nazionale di urbanistica rilevano la costante progressione del consumo di suolo in Italia e le carenze e criticità della disciplina normativa e dell’attività amministrativa di governo del territorio che impediscono di sfruttare le potenzialità di un invidiabile patrimonio culturale e di un territorio rurale che conserva ambienti incontaminati e una notevole biodiversità.
E l’attività di repressione del fenomeno risulta carente quanto quella di prevenzione, dato che l’ultimo dossier “Abbatti l’Abuso” di Legambiente certifica che dal 2004 al 2020 è stato abbattuto solo il 32,9% degli immobili colpiti da ordinanza di demolizione (fonte: Legambiente).
Da anni ormai si è ricostruita la mappa dell’abusivismo sull’intero territorio nazionale e su quelli regionali, sono state indicate le principali criticità che alimentano il fenomeno e annunciate le prime concrete iniziative: riordino della normativa urbanistica, controlli accurati, pugno di ferro con cittadini e amministrazioni inadempienti, istituzione di un fondo di rotazione per finanziare gli oneri dell’abbattimento degli immobili abusivi. E da anni i disegni di legge e i documenti di programmazione in materia proclamano obiettivi impegnativi e ambiziosi: riqualificazione delle aree metropolitane, strutturazione di un sistema urbano equilibrato e policentrico, gestione oculata e sviluppo del patrimonio naturale e culturale, attuazione di politiche territoriali integrate e trasversali in grado di coniugare competitività, sostenibilità ambientale e qualità della vita, valorizzazione delle risorse socio-economiche, culturali e identitarie delle aree interne, riduzione degli squilibri territoriali e incremento della capacità attrattiva del territorio regionale, integrazione tra zone urbane e peri-urbane e rurali in un’ottica metropolitana.
Eppure non sembra concreta la prospettiva di definitiva soluzione di un problema che da decenni affligge il territorio e la società, alimentato da fattori di ordine sociale, economico, politico, amministrativo profondamente radicati: diffuso fabbisogno abitativo, presunzione di impunità, reazione all’assenza di regole certe e alla lentezza e inefficienza burocratica, copertura politica eccetera.
La dilagante diffusione dell’abusivismo edilizio evidenzia il fallimento delle politiche urbanistiche e ambientali nazionali, regionali e locali, e la crisi del modello di federalismo consolidatosi dopo la riforma costituzionale del 2001.
Questa situazione di illegalità estremamente diffusa, infatti, origina da un concorso di cause e di responsabilità riconducibili alla qualità della legislazione, al deficit di collaborazione istituzionale, all’inefficienza amministrativa, alla carenza di risorse, a macroscopiche criticità nella ripartizione di poteri e risorse tra i diversi livelli istituzionali e nelle politiche pubbliche di governo del territorio.
L’incerta distribuzione delle competenze nelle materie strategiche (ambiente, lavori pubblici, urbanistica) e la proliferazione di enti, agenzie e organismi tecnici hanno frammentato e annacquato le responsabilità, moltiplicato i centri decisionali, gli strumenti di pianificazione e le procedure, prodotto duplicazioni e sovrapposizioni di competenze, alimentato il contenzioso.
La tendenza dello Stato a scaricare sugli altri livelli di governo una quota sempre maggiore dei costi di risanamento della finanza pubblica attraverso vincoli alla spesa, riduzione delle entrate e tagli di personale ha privato gli enti locali, soprattutto quelli più piccoli, delle risorse umane e finanziarie necessarie per le attività di contrasto dell’abusivismo e di manutenzione del territorio; la complessità delle regole sugli appalti pubblici ha ostacolato la tempestiva esecuzione delle opere necessarie a prevenire il rischio idrogeologico; l’inefficienza degli enti locali nella gestione delle politiche urbanistiche ha alimentato la presunzione di impunità, che ha fornito un contributo decisivo al dilagare dell’abusivismo.
Legislazione permissiva, netta separazione tra competenze in materia urbanistica e ambientale e tra pianificazione paesistica e territoriale, frammentarietà dell’attività di pianificazione e diffusa arretratezza degli strumenti urbanistici, inefficienza amministrativa, carenza di risorse, di programmazione e di coordinamento tra le istituzioni, omissione dei controlli, diffuso fabbisogno abitativo, percezione di impunità, reazione all’assenza di regole certe e alla lentezza ed inefficienza burocratica e sottovalutazione del pericolo hanno contribuito ad orientare una consistente quota di attività edilizia verso la realizzazione di immobili abusivi.
L’insieme di questi fattori ha creato una situazione di illegalità talmente diffusa da indurre la politica, e talvolta persino la Corte costituzionale, a ritenere che l’imposizione di regole restrittive e la severa repressione degli abusi avrebbero potuto generare problemi di ordine pubblico, e di conseguenza a optare per la creazione di una forma di legalità più permissiva, finalizzata a disciplinare e contenere il fenomeno piuttosto che contrastarlo duramente. Questo da allora è diventato il principio ispiratore delle politiche pubbliche, che ha legittimato l’ammorbidimento dei vincoli urbanistici, condoni e sanatorie ricorrenti, omissione di controlli e sanzioni.
Pochi comuni hanno realizzato il censimento degli immobili abusivi, nonostante gli elenchi delle cosiddette case fantasma siano stati diffusi dall’agenzia del Territorio tra il 2007 e il 2009; l’80% delle ordinanze di demolizione rimane inattuato; negli uffici comunali giacciono da anni circa centinaia di migliaia di domande di sanatoria edilizia, che spesso riguardano richieste prive dei requisiti, che gli uffici comunali, non potendo accogliere, lasciano in sospeso; i controlli sulla pianificazione comunale e sul rispetto degli adempimenti di legge si sono rivelati inefficaci e raramente le Regioni esercitano i poteri sostitutivi previsti dalla legge e sanzionano gli enti inadempienti.
Le amministrazioni pubbliche indicano la carenza di risorse come principale causa della scarsa manutenzione del territorio e della sopravvivenza di manufatti abusivi, ma la maggior parte degli enti locali non irroga agli autori degli abusi la sanzione fino a 20mila euro prevista dalla legge, e consente loro di continuare a beneficiare degli immobili senza corrispondere alcuna indennità né i tributi previsti dall’ordinamento, rinunciando di fatto a risorse preziose per finanziare le demolizioni, mentre sono rimasti sostanzialmente inattuati gli interventi previsti dal Patto per il Sud e dagli analoghi strumenti di concertazione finanziati con diversi miliardi di euro per contrastare il dissesto idrogeologico.
Le ingenti risorse del programma Next Generation Eu e del Piano nazionale di ripresa e resilienza destinate alla “rivoluzione verde” e alla transizione ecologica dovrebbero fornire slancio decisivo alle iniziative nazionali e regionali che perseguono obiettivi ambiziosi quali la promozione della “bellezza delle città e dei territori, dell’architettura contemporanea e della qualità dell’edilizia pubblica e privata” e un “consumo di suolo tendente a zero”, da conseguirsi incanalando la pianificazione e l’attività edilizia in una prospettiva incentrata sulla rigenerazione piuttosto che sulla espansione del patrimonio immobiliare (riuso di edifici, aree e infrastrutture e rigenerazione del territorio urbanizzato), mediante la ristrutturazione degli strumenti urbanistici e la semplificazione delle relative procedure di formazione e approvazione, la riqualificazione e l’aggiornamento delle politiche di pianificazione dei diversi livelli di governo e delle regole di perequazione e compensazione dei diritti d’uso dei suoli, l’introduzione di nuovi strumenti di governance delle politiche urbanistiche e di coordinamento e leale collaborazione tra gli attori istituzionali, concepiti per accrescere la conoscenza del territorio e del suo sviluppo urbanistico e favorire l’espressione di scelte comuni tra gli enti interessati.
Si tratta di un’importante occasione per elaborare una disciplina organica adeguata ai nuovi obiettivi e standard imposti dall’intensa evoluzione economico-sociale, ma l’esperienza di questi decenni insegna che per realizzare gli obiettivi attesi le riforme devono essere necessariamente accompagnate da idonee formule organizzative e percorsi procedimentali, dall’approntamento delle risorse economiche necessarie, da una razionale distribuzione delle funzioni e delle risorse tra le amministrazioni coinvolte, dall’elaborazione di tecniche appropriate di verifica dei risultati e da adeguati strumenti atti a garantire la responsabilizzazione dei soggetti istituzionali e degli amministratori.
Motivo per cui, al di là dell’ingente mole di risorse disponibili, da una situazione così complessa si può uscire solo attraverso una strategia condivisa da tutte le amministrazioni: cooperazione e coordinamento tra le istituzioni coinvolte nella pianificazione territoriale, incentivi alla aggregazione di enti locali e forme di condivisione di figure professionali necessarie per incrementarne l’efficienza, razionalizzazione dell’attività amministrativa, dell’organizzazione burocratica e della ripartizione delle risorse tra le istituzioni, individuazione di precisi e chiari obiettivi di performance per enti, amministratori e dipendenti pubblici riguardo alla manutenzione del territorio, alla repressione dell’abusivismo e all’efficienza nell’applicazione delle norme urbanistiche e nella gestione delle risorse, controlli efficienti, premi e incentivi a favore delle amministrazioni virtuose, sanzioni a carico degli enti, amministratori e funzionari inadempienti.
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