Che gioia vedere il 28 maggio ad una terza replica pomeridiana la sala grande dell’Auditorium del Parco della Musica pieno (e le gallerie dove i biglietti sono, naturalmente, a miglior mercato, pienissime). Dall’inizio della pandemia il pubblico è parso “marcare visita”, tranne che per l’unica recita “fuori abbonamento” di Turandot il 12 marzo scorso. E’ tornato piano piano al grande auditorium (3000 posti), E lo ha infine affollato, in fine, in un pomeriggio di primavera (lo spettacolo cominciava alle 18).



Il programma era tale da attirare il pubblico consueto della stagione sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: due “quinte” sinfonie, prima quella di Dmitrij Šostakovič e, dopo l’intervallo, quella di Ludwig van Beethoven. La novità: il debutto a Roma, alla guida dell’orchestra, di Jaap van Zweden, attualmente è direttore musicale dell’Orchestra Filarmonica di Hong Kong e della New York Philharmonic. Van Zweden è una celebrità mondiale ed il suo debutto all’Accademia era molto atteso.



Van Zweden iniziò a lavorare come direttore d’orchestra dopo che Leonard Bernstein ( di cui si avverte il piglio) lo ebbe invitato a dirigere una prova d’orchestra a Berlino. Diresse inizialmente piccoli gruppi e nel 1997 diventò direttore d’orchestra a tempo pieno. Il suo primo incarico fu come direttore principale dell’Orkest van het Oosten (Orchestra dell’Oriente o dell’Olanda Symphony Orchestra) Enschede, nei Paesi Bassi. Ha lavorato in questo incarico dal 1996 al 2000. Van Zweden è stato direttore principale della Residentie Orchestra all’Aja dal 2000 al 2005 ed ha registrato le sinfonie complete di Ludwig van Beethoven con loro. Nel 2005 è diventato direttore principale e direttore artistico della Radio Filharmonisch Orkest (RFO; Netherlands Radio Philharmonic) di Hilversum. Nel febbraio 2007 estese il suo contratto con la RFO fino al 2013. Fuori dall’Europa van Zweden ha fatto il suo debutto negli Stati Uniti con la Saint Louis Symphony nel 1996. Van Zweden ha uno stile molto personale: accentua il ritmo, mette in evidenza i colori, enfatizza (quasi a fare meglio notare ritmo e colori) gli abbandoni lirici.



La stesura della quinta di Šostakovič  avvenne in un periodo travagliato della vita del compositore per le sue tensioni con “i piani alti” delle gerarchie del “realismo socialista”, come abbiamo descritto più volte su questa testata. Ma il lavoro fu un grande successo, e si dice abbia ricevuto un’ovazione durata mezz’ora.

Nel primo movimento (Moderato) Van Zweden mostra sin dal vibrante attacco che Šostakovič sfodera le sue capacità compositive attraverso la costruzione per climax delle diverse sezioni del movimento: esse crescono per intensità attraverso lo strettissimo sviluppo delle idee tematiche, fino a raggiungere la vetta espressiva a metà del movimento con un’immensa esplosione orchestrale, che poi lentamente ripiega su sé stessa sino a spegnersi in un’ultima lirica ripresa dei temi del primo tempo. Alla fine del tempo, inizia un nuovo crescendo orchestrale: Šostakovič affida alle varie sezioni dell’orchestra la ripetizione del tema iniziale. Con i colpi dei timpani si raggiunge l’apice della tensione della sinfonia. Dopo questa violenta sezione, la musica torna in toni più contenuti, con dialoghi tra i vari legni. L’entrata dei corni fa da preludio all’entrata del flauto solista, e infine assistiamo all’intervento del primo violino. Il movimento conclude con una particolare scala cromatica, ripetuta tre volte, affidata alla celesta. Van Zweden ha tenuto in modo eccellente il coordinamento tra le varie sezioni dell’orchestra.

Nell’Allegretto (secondo movimento) viene evidenziato un energico valzer d’ispirazione mahleriana, il cui tema principale deriva da una germinazione dell’inciso melodico assegnato ai fiati nel grande centrale climax del primo movimento.

Dopo l’uso delle trombe e dei corni nei due precedenti movimenti, nel terzo (Largo) o Šostakovič non usa ottoni. Gli archi sono divisi per tutto il movimento: i violini in 3 gruppi, le viole in 2, i celli in 2. I contrabbassi rimangono all’unisono. In questo movimento, dai toni molto più contenuti rispetto ai precedenti, bellissime melodie basate su un tema che verrà chiaramente esposto nella parte centrale (la prima volta lo si può ascoltare alla metà del secondo minuto), sono cantate dagli archi e dai fiati solisti, a turno. Van Zweden sottolinea L’apice della tensione del brano con il tema richiamato da archi e xilofono solisti, apre la strada allo stupendo tema dei violoncelli soli, dopo la cesura. La chiusura del brano, affidata ad arpa e celesta, in un clima magico e delicato, sembra richiamare la surreale fine del primo movimento.

Nel quarto movimento (Allegro ma non troppo) sono presenti quattro sezioni. A rompere il clima quasi fatato del terzo movimento è un crescendo di una battuta, di tutta l’orchestra, che fa da apertura ad un solo di timpani e ottoni, in una marcia che coinvolge successivamente tutta l’orchestra. Segue un lungo dialogo tra archi, corni e flauti, culminante nell’entrata dell’arpa. Successivamente entra l’intera orchestra, e con un crescendo, costante sino alla fine, si raggiunge l’apice della tensione: dopo l’esplosione finale di tutta l’orchestra, questa sinfonia si conclude con un solo di timpani, percussioni e ottoni (simboleggianti il potere del regime), che si sovrappongono a un incessante ripetizione della tonalità di Re Maggiore della sezione degli archi, rappresentanti il compositore oppresso dal regime.

Prima dell’intervallo, circa otto minuti di ovazione.

Non mi soffermo sulla “quinta” di Beethoven che viene eseguita quasi ogni anno nella stagione sinfonica nell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Nella “versione di van Zweden” spiccano soprattutto i colori ed il fitto reticolo di riferimenti allegorici ed etici.

Applauditissimi direttore ed orchestra.