Le piace Brahms?, titolo di un romanzo di Françoise Sagan del 1959 da cui è stato tratto un film di successo nel 1961con Ingrid Bergman, Antony Perkins e Yves Montand. Se la domanda viene posta agli abbonati della stagione sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, la risposta è un grande e concorde “Sì”. Eppure non si sarebbe detto la sera del 22 ottobre, la seconda delle tre esecuzioni di un concerto che aveva come brano centrale la prima delle quattro sinfonie del compositore nato ad Amburgo nel 1833, eseguita da una giovane star del firmamento musicale (Maxim Emelyanychev) al suo debutto a Roma.



L’enorme sala (2800 posti) era piena (ad occhio) per appena un terzo, per lo più gli abbonati e neanche tutti. Pochissimi i giovani. Era la prima serie di concerti in cui la sala poteva essere riempita al cento per cento. L’Accademia aveva fatto una campagna promozionale nei pochi giorni dalla decisione del Governo di riaprire gli spettacoli al cento per cento: i biglietti venivano offerti a metà prezzo. Ciò impone una riflessione, preliminare ad qualsiasi recensione: la pandemia ha accelerato una tendenza in atto da qualche anno in base alla quale, per ragioni strutturali (innanzitutto la mancanza di formazione musicale a scuola ed in famiglia) le nuove generazioni disertano la musica classica? La pandemia tiene il pubblico lontano da luoghi che possono essere affollati nonostante l’accesso richieda green pass? E’ una riflessione che merita di essere fatta a più voci. Soprattutto in quanto il concerto era di alta qualità ed aveva un programma abbastanza tradizionale, di quelli che piacciono al pubblico romano.



Oltre a Maxim Emelyanychev, debuttava a Roma anche il violoncellista Kian Soltani, nato a Bregenz da genitori iraniani, altra giovane stella. I due si smarcavano dai professori della sinfonica di Santa Cecilia, tutti rigorosamente in frack, in quanto il primo aveva un completo nero ed una cravatta sgargiante sulla camicia bianca ed il secondo indossava una tunica color crema su pantaloni neri e portava scarpe da ginnastica.

A dare un tocco nuovo, prima di entrare nel grande repertorio romantico, il concerto è iniziato con The Chairman dances, un foxtrot per sola orchestra concepito come parte dell’opera Nixon in China di John Adams del 1985, un brano brillante che a Roma era stato eseguito una sola volta, nel 1995, diretto dall’autore.



Dopo il divertente ed ironico brano su Mao Zedung che danza con la propria moglie (una ballerina nella realtà effettuale delle cose) si è andati al Concerto in la minore per violocello ed orchestra op. 129 di Robert Schumann. E’ un lavoro del 1850, pochi anni prima che il compositore venisse internato nella clinica psichiatrica vicino a Bonn dove finì i suoi giorni.

Di questo sconvolgimento intellettuale non c’è ancora alcuna traccia nel brano. Più che di un concerto per violoncello e orchestra si può dire che si tratti di un concerto per violoncello con accompagnamento di orchestra, in quanto lo strumento solista assurge a ruolo di protagonista e afferma le sue prerogative in modo preponderante su un’orchestra dalle sonorità plasticamente morbide e soffuse di delicata malinconia, che si ritroveranno poi anche in Brahms, il più fedele continuatore del sinfonismo schumanniano.

La melodia calda e intensamente piena del violoncello, si snoda con varietà e ricchezza di accenti, sorretta da un suono orchestrale timbricamente omogeneo e particolarmente adatto ad esprimere il sentimento intimistico della musica schumanniana. Nel movimento Adagio il concerto tocca il momento di più elevato lirismo, realizzato attraverso un originale recitativo tra la frase melodica del solista e gli accordi degli strumenti a fiato, su un accompagnamento sostenuto dai violini. Sopraggiunge successivamente il rondò, pagina tanto difficile tecnicamente per il solista quanto brillante ed estrosa Il violoncello non perde mai d’impeto e, accompagnato dagli accordi sussurrati dell’orchestra, conclude in maniera fresca e gioiosa il brano. Kian Soltani si è meritato ovazioni dal pubblico in sala. Ha risposto con un bis: un breve brano di Šostakovič.

Infine, la prima sinfonia di Brahms, la cui esecuzione è stata dedicata al grande direttore Bernard Haitlink, deceduto a 92 anni il giorno prima. Brano amatissimo dai romani che torna ogni tre-quattro anni nelle stagioni sinfoniche dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia. Opera gigantesca, di stampo (in parte) beethoveniano. Certamente nota ai lettori. Prima di ascoltarla diretta da Maxim Emelyanychev, la ho ascoltata in due esecuzioni famose: quella diretta da Rafael Kubelik con la filarmonica di Vienna (1958) e quella di Wolfgang Sawallisch con la sinfonica di Vienna (1961). L’approccio di Maxim Emelyanychev è differente sin dal solenne e severo prologo iniziale, poco metafisico – religioso e quasi passionale da diventare quasi sensuale  nel quarto movimento.