Un partenariato strategico da 7,4 miliardi con l’Europa, accordi bilaterali con l’Italia nell’ambito del Piano Mattei. Nella missione al Cairo che ha visto protagonista la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il primo ministro belga, il cancelliere austriaco, il premier greco e il presidente di Cipro si è parlato di migranti, delle tensioni dovute al conflitto a Gaza, ma anche di sviluppo economico dell’Africa, obiettivo che il governo italiano vuole perseguire con una serie di patti da stipulare con altre nazioni africane.



Al centro degli interessi italiani, infatti, spiega Michela Mercuri, docente di cultura, storia e società dei Paesi musulmani nell’Università di Padova, oltre ai flussi migratori c’è il tema energetico, del gas in arrivo dal Mediterraneo, trovato dall’ENI e fondamentale per sostituire quello russo. L’Egitto ha un ruolo importante dal punto di vista geopolitico e sostenerlo in un momento di crisi economica è importante anche per questo. Nella realizzazione del Piano Mattei però l’Italia è sola: lo ha aperto a tutti, cercando di farlo diventare europeo, ma finora nessuno l’ha seguita. E la parcellizzazione del progetto potrebbe essere un problema.



Cosa significa partenariato globale e strategico? Come potrebbe cambiare concretamente i rapporti dell’Egitto con l’Europa e sotto quali aspetti?

L’Egitto per l’Europa è importante per molti motivi, alcuni dei quali esulano dalla questione migratoria. L’aumento dei migranti in partenza dalle coste egiziane, ma anche di quelli che attraversano il confine con la Libia e partono dalla Cirenaica, preoccupano l’Italia come l’Europa. Ma c’è anche la questione energetica: l’Europa, nel tentativo di rimpiazzare il gas russo, ha trovato in Egitto e Israele due nuovi alleati, con i quali ha siglato un accordo per lavorare sulla fornitura stabile di gas naturale che dovrebbe arrivare dal Mediterraneo orientale. Sarà esportato da Israele in Egitto attraverso un gasdotto per poi essere liquefatto e trasportato in Europa. Il dossier energetico è fondamentale, così come il fatto che l’Egitto controlli il canale di Suez, che in questo momento ha visto un crollo importante del passaggio di navi per gli attacchi Houthi. Il Cairo rimane un alleato fondamentale anche per cercare di mantenere e ripristinare una maggiore stabilità del passaggio per tutte le merci che da lì viaggiano verso l’Europa.



L’Italia ha sottoscritto anche accordi bilaterali che riguardano diversi settori, primo fra tutti quello dell’energia: che cosa può portarci l’intesa da questo punto di vista tenendo conto anche dei grossi giacimenti di gas al largo delle coste egiziane?

Il futuro del gas italiano dipenderà anche da quello che l’Egitto potrà darci. Lo scorso settembre c’è stato un incontro tra l’ad di ENI Descalzi e il presidente egiziano Al Sisi in cui l’azienda italiana ha manifestato l’intenzione di investire quasi 8 miliardi di euro. Investimenti che si inseriscono nel quadro di una collaborazione ben rodata tra ENI ed Egitto, che è il Paese dove si trova il volume maggiore delle riserve di gas di ENI, oltre il 20% del totale. La produzione di ENI copre il 60% del totale nazionale di gas estratto in Egitto per un totale di quasi 15 miliardi di metri cubi l’anno. Questo ha permesso, secondo dati ENI del 2022, di realizzare più di 5 miliardi di euro di utili netti negli ultimi cinque anni. Per questo ENI continuerà a investire sull’Egitto e sulle risorse che ancora sono inesplorate nel Paese.

Perché la collaborazione riguarda  anche comparti come agricoltura, acqua, sanità, istruzione?

La collaborazione a 360 gradi è un po’ lo spirito del Piano Mattei. L’Egitto che sta vivendo una fase molto difficile dal punto di vista economico, con la sterlina egiziana fortemente deprezzata e un’inflazione aumentata di quasi 20 punti percentuali negli ultimi mesi. Problemi che potrebbero portare a proteste interne. Per questo l’Italia vuole supportare il Paese in progettualità che riguardano l’agricoltura e l’acqua. L’Egitto, tra l’altro, ha una controversia con l’Etiopia relativa alla diga che gli etiopici vogliono costruire e che toglierebbe acqua al Nilo. Il ritorno che ne avremo sarà un partner più forte in un’area con una posizione geostrategica fondamentale, che ha consistenti riserve di gas e che si sforzerà di controllare i flussi migratori.

Mantenere buoni rapporti con l’Egitto è un obiettivo anche di altri Paesi.

L’importanza dell’Egitto non è stata percepita solo dall’Italia, ma da molti paesi dell’area. Davanti alla crisi dell’economia egiziana Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita hanno promesso un supporto di svariati miliardi. Supporto che è arrivato anche da Stati come la Russia.

Quali sono le possibili criticità nell’applicazione del piano europeo, anche dal punto di vista del controllo dei flussi migratori? C’è il rischio che i soldi vengano usati male e non migliorino il livello di vita della gente? I termini dell’accordo potevano essere più stringenti sul rispetto dei diritti umani, alla luce della vicenda Regeni?

Ogni accordo può avere delle criticità nella sua fase attuativa. Per quanto riguarda i flussi migratori, Al Sisi ha il controllo del territorio molto di più della Libia. Ha tutto il vantaggio a utilizzare nel modo migliore i soldi che verranno erogati a tranche. Laddove non venissero usati per migliorare il tenore di vita della gente ci sarebbero proteste. L’Egitto è un Paese di 100 milioni di abitanti, dove se le persone cominciassero a ribellarsi potrebbero defenestrare un leader, come è successo con Mubarak. Al Sisi ne è cosciente, sa che deve calmare le piazze anche dal punto di vista alimentare: manca il pane perché la maggior parte del grano proviene da Ucraina e Russia e oggi ne arriva molto meno. Per quanto riguarda Regeni, è una questione delicata su cui l’Italia non ha cambiato posizione. Bisogna cercare verità e giustizia e questo deve essere ribadito ogni volta che si incontrano le autorità del Cairo. Ma non deve pregiudicare la realizzazione di accordi con un Paese strategico, soprattutto da quando è scoppiato il conflitto in Medio Oriente.

Il Piano Mattei non rischia di essere troppo parcellizzato, puntando su accordi con i singoli Paesi difficili da seguire e da realizzare nonostante le buone intenzioni?

Il Piano Mattei è aperto all’Europa e a tutti gli attori che vogliono partecipare. L’Italia, invece, si è trovata molto spesso sola nell’applicarlo. In Tunisia il 16 luglio è stato firmato un Memorandum, c’era anche la von der Leyen ma poi di fatto l’Italia è rimasta sola. Una colpa europea. Se gli accordi fossero meno parcellizzati funzionerebbero meglio a livello strategico, ma è l’Europa a non volerlo.

L’Egitto è in una posizione geograficamente strategica e rappresenta sicuramente un punto di riferimento per tutta l’area mediorientale e africana. E intrattiene rapporti con diversi Paesi, tra cui la Russia. Il supporto europeo e italiano può avere effetti benefici anche per il ruolo che Il Cairo gioca in situazioni di crisi come quella palestinese?

È l’Egitto che può avere effetti benefici sulla situazione politica in Italia e in Europa, sui riflessi politici ed economici che derivano dalla crisi di Gaza, come la crisi del Mar Rosso. Dobbiamo tifare Egitto perché diventi sempre più importante nella regione, insieme ad altri attori come il Qatar, per tentare di risolvere una situazione complessa. Trovare una via d’uscita al conflitto tra Israele e Hamas potrebbe portare benefici non solo a Italia ed Europa, ma a tutto il Mediterraneo.

(Paolo Rossetti)

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