Una “capitolazione dell’Armenia”, ha definito il cessate il fuoco il presidente dell’Azerbaijan, Ilham Aliyev. L’Armenia ha adesso pochissimo tempo per ritirare le sue truppe dalla contestata regione del Nagorno-Karabakh, cosa che ha fatto infuriare centinaia di armeni, scesi in piazza a contestare l’accordo di pace. “Non poteva che essere così” ci spiega in questa intervista Pietro Kuciukian, console onorario armeno a Milano e autore di numerosi libri sulla storia del suo popolo. “L’Azerbaijan ha avuto il supporto militare di Israele e Turchia, che l’hanno rifornito di droni, l’Armenia non ha le stesse forze militari e ha dovuto accettare questo accordo, che riduce in modo consistente ogni rivendicazione sulla regione considerata da sempre armena”. In questo quadro, aggiunge Kuciukian, “la Turchia si avvantaggia a sua volta, potendo rimettere in moto il vecchio sogno panturco di Erdogan di arrivare fino ai confini cinesi, grazie ai nuovi corridoi attraverso l’Azerbaijan previsti dall’accordo di pace”.
Questo accordo, pesantemente sfavorevole all’Armenia, è dovuto al fatto che Mosca ha preferito tenere buoni rapporti con l’Azerbaijan, abbandonando di fatto il suo alleato?
È un accordo dovuto al desiderio di salvare vite, risparmiare morti inutili. Gli azeri avevano la supremazia grazie ai droni forniti da Turchia e Israele e le milizie jihadiste siriane mandate lì da Erdogan. Mosca è sempre stata equidistante tra i due paesi, ha un trattato di difesa con la sola Armenia che esclude il Nagorno-Karabakh, quindi non è intervenuta. È intervenuta a imporre la pace solo dopo che gli azeri, probabilmente per errore, hanno abbattuto un elicottero russo. Era il momento buono per intervenire ed è stato fatto questo trattato di cessazione delle ostilità.
Il trattato garantirà la stabilità o l’Azerbaijan in futuro muoverà altre guerre per risolvere del tutto la questione del Nagorno-Karabakh?
Non credo che attaccheranno ancora, bisogna vedere come sarà ripopolata la regione dopo l’accordo, che prevede il ritorno nella regione dei profughi. È facile pensare che molti azeri, tenuti per così dire in naftalina in Azerbaijan da trent’anni, torneranno a casa, così come anche molti armeni. È probabile che la maggioranza della regione diventi azera. Non è ancora stabilito lo statuto della regione: era una regione autonoma, adesso sembra che l’Azerbaijan non voglia più riconoscerla come tale, come era dall’era sovietica. Non credo ci sarà un’altra guerra, l’Armenia non ne ha le forze.
Quanto ha pesato la Turchia in questo accordo di pace?
Ha pesato moltissimo, perché ha fornito armi e droni, e ne è uscita molto avvantaggiata. Si è deciso per un corridoio di congiunzione del Karabakh con l’Armenia, ma c’è un progetto di congiunzione attraverso il quale la Turchia arriverebbe fino al confine con la Cina: è il vecchio sogno panturco di Erdogan. Quel passaggio era interrotto dall’Armenia, adesso non più.
Secondo lei con Biden alla Casa Bianca cambierà l’approccio americano?
Penso di sì, gli Usa saranno maggiormente favorevoli agli armeni, anche se ormai è tardi. Trump era favorevole a Israele e Azerbaijan e anche alla Turchia, l’ha sempre lasciata fare. Si pensa che Biden dovrebbe avere una politica estera diversa, ad esempio con la Turchia: intervenire con Ankara e decidere se tenerla ancora nella Nato. Un alleato che ha missili russi e aerei americani crea una situazione fortemente ambigua e complicata.
E l’Unione Europea?
La Ue non fa nulla per tradizione. È divisa al suo interno, non riesce ad avere una politica estera. Non è che non vuole, non può.
(Paolo Vites)