LONDRA – Come al termine di un Conclave, da Bruxelles in mattinata è arrivata la fumata bianca: “abbiamo l’accordo”.

“È un accordo giusto ed equilibrato”, ha detto il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker.

“È un accordo molto buono sia per l’Unione Europea che per il Regno Unito”, ha aggiunto il premier britannico Boris Johnson.



Per arrivarci, entrambe le parti hanno dovuto fare concessioni: Johnson ha dovuto concedere all’Ue che non ci siano controlli di frontiera di nessun tipo sull’isola d’Irlanda. Ci saranno controlli all’interno del Regno Unito, tra Gran Bretagna e Irlanda del Nord. Bruxelles ha concesso che il Withdrawal Agreement negoziato a suo tempo dall’ex ministro Theresa May fosse rivisto e cambiato e ha accettato un’alternativa al backstop. In base al nuovo accordo, l’Irlanda del Nord lascerà l’unione doganale europea con il resto del Regno Unito.



Ma non significa che la Brexit sia cosa fatta. Ieri è stata superata una tappa importante, ma la meta non è ancora raggiunta, c’è lo scoglio del Parlamento britannico da superare.

Per questo il premier, che ieri sera a Bruxelles si sarà pure concesso un gin and tonic con il suo team di negoziatori, non avrà fatto tardi, consapevole che il vero lavoro lo aspetta domani a Londra.

Il testo faticosamente partorito in questi giorni dai negoziatori di Ue e Regno Unito sarà spiegato ai Commons, discusso, e votato in quella che di fatto sarà una seduta straordinaria, non solo perché l’ultima volta che il Parlamento è stato convocato di sabato era nel 1982, durante la crisi delle Isole Falkland, ma anche perché da questa seduta dipendono il successo o la sconfitta della Brexit di Boris Johnson.



Se il Parlamento non dovesse votare l’accordo, ci aspetterebbe un altro periodo di incertezza in cui tutto potrebbe succedere, dalla richiesta di un’ulteriore estensione dell’Articolo 50 all’Ue (che ora non ne vuole sentir parlare) a nuove elezioni, da una Brexit senza accordo al suo potenziale annullamento.

A sentire i leader europei, nessuno ha voglia di ulteriori proroghe. Juncker ha detto alla Bbc che non c’è nessun bisogno di un’estensione perché l’accordo è stato fatto. Come dire, sono passati più di tre anni, c’è stato tutto il tempo. Del resto, non servirebbe a nulla chiedere altro tempo. L’accordo è stato trovato. Chi vuole un’estensione dell’articolo 50 ha probabilmente altri obiettivi: fare un secondo referendum (lo vogliono i liberal-democratici e una parte del partito laburista, che su questo resta spaccato), fare una hard Brexit (per alcuni tra i brexiteer intransigenti sarebbe preferibile a qualsiasi accordo), o arrivare alla revoca stessa della Brexit. E chi vuole affossare questo nuovo accordo – che pur partendo come base dal Withdrawal Agreement della May presenta delle novità rilevanti – ha altri obiettivi, calcoli politici e interessi di partito.

Dai liberal-democratici al partito nazionalista scozzese, dai laburisti al piccolo partito unionista nordirlandese, sono arrivati dei rifiuti più o meno netti all’accordo. I motivi addotti vanno dall’interesse del Regno Unito a quello della popolazione nordirlandese o scozzese. Ma mettendo a repentaglio questo accordo, è la volta che si mette davvero a repentaglio l’intero paese, perché l’Ue stavolta non intende concedere altro tempo o fare ulteriori negoziati. Allora, se l’accordo domani non venisse approvato da Westminster, Bruxelles potrebbe anche decidere di lasciare che il Regno Unito si stacchi senza un accordo, prospettiva che diventa giorno dopo giorno più accettabile rispetto a quella di una prolungata incertezza.

Un’incertezza che sta danneggiando tutti, dagli agricoltori nordirlandesi ai business inglesi e scozzesi. Che non ne possono più di aspettare. Che vogliono certezze. Ma lo stesso vale per i paesi europei.

Quindi dovremmo chiederci, per esempio, quali interessi ha il Dup, il partito unionista nordirlandese, che inizialmente sembrava sostenere Johnson ma che oggi pare sia diventato il principale oppositore all’accordo, se nella stessa Irlanda del Nord non ha la maggioranza. Indubbiamente, sulla vicenda della Brexit si sono innestate altre problematiche, sono riaffiorate per esempio le spaccature dell’Irlanda del Nord, dove il Dup rappresenta solo una parte della popolazione e dove molti pensano che questo partito stia giocando contro gli interessi economici della regione, per puro calcolo politico.

Alla fine Boris Johnson potrebbe spuntarla. La prospettiva di perdere la possibilità di fare la Brexit con un accordo frutto di concessioni, anche da parte Ue, che tutto sommato non sono poi così male, dovrebbe spingere la maggioranza dei parlamentari a votarlo.

Se dovessero, malauguratamente, prevalere gli interessi di parte, si aprirà per il Regno Unito un nuovo, preoccupante capitolo.