Raggiunto sul filo di lana e annunciato nel giorno della vigilia di Natale l’accordo Uk-Ue sulla Brexit. Toni esultanti da entrambi i fronti, dopo una gara a suon di dichiarazioni su chi ha ceduto meno alle richieste dell’altra parte. La prospettiva del no deal è finalmente sventata. E ora quali sono le sfide che attendono le due parti? E chi perde cosa – commercialmente, politicamente, strategicamente? Ne abbiamo parlato con Claudio Martinelli, professore di diritto pubblico comparato e diritto parlamentare all’Università di Milano-Bicocca ed esperto del sistema giuridico britannico. Meglio la partnership del no deal, chiarisce Martinelli, ma dalla Brexit tutti hanno da perdere. L’idea di un ritorno alla piena sovranità britannica nasconde un’idea anacronistica, una sfida che la Gran Bretagna difficilmente riuscirà a vincere.
Professore, nelle scorse ore ci sono stati segni di esultanza da entrambe le parti riguardo all’accordo tra Uk e Ue, dove sta la verità?
Questo è il momento delle rivendicazioni. Nelle scorse ore dalla Francia arrivavano notizie secondo cui il Regno Unito aveva ceduto sui diritti di pesca, poi Johnson, dopo aver riunito il governo, ha fatto dichiarazioni entusiastiche sulla vittoria nel negoziato e sul recupero della sovranità della Gran Bretagna. Ma questi aspetti sono poco importanti. Quello che conta in questo momento è che un accordo è stato raggiunto, perché scongiura problemi davvero pesanti, che un eventuale no deal avrebbe procurato su entrambe le sponde della Manica.
Ad esempio?
La costruzione di dazi, di barriere, e difficoltà soprattutto nei commerci: tutti pericoli che con questo accordo, comunque siano strutturati i dettagli, sono stati sventati.
Conosciamo appunto qualche dettaglio dell’accordo?
In conferenza stampa sia Barnier che la von der Leyen si sono tenuti molto sul generico rispetto alle tecnicalità dell’accordo, sono dettagli complessi. Dovremo aspettare di vedere il testo, un documento che si prospetta essere molto voluminoso.
Come commenta l’intervento di Boris Johnson in conferenza stampa?
Boris Johnson continua a far riferimento solo all’accordo sulla pesca, perché ha buon gioco a sottolineare in questo una sua vittoria. In particolare, per il periodo di transizione l’Ue chiedeva 14 anni, il Regno Unito proponeva 3 anni, alla fine hanno chiuso a 5 anni e mezzo. Resta il fatto che dal 1° gennaio quella fra Uk e Ue, che originariamente era un rapporto di membership, diventa una partnership, mentre il rischio era che il Regno Unito diventasse un paese terzo, come qualsiasi altro del mondo con cui l’Unione Europea non ha accordi bilaterali.
L’Unione Europea cosa perde dall’operazione Brexit nel suo complesso?
Io credo che dall’operazione Brexit tutti abbiano da perdere, non concordo con un certo mood che da qualche anno serpeggia in Ue e anche in Italia e che dice: finalmente gli eccentrici inglesi se ne sono andati, non sono mai stati veramente europei e ora le cose dentro l’Ue andranno meglio. Io penso che le cose non stiano così, la Gran Bretagna ha portato essa stessa con la sua cultura, e in particolare la cultura della concorrenza e del libero mercato, vantaggi dentro l’Ue, magari su aspetti che non sono sotto gli occhi dell’opinione pubblica ogni giorno, ma il contributo britannico è stato importante nel formulare un mercato unico basato su regole concorrenziali. Comunque l’Unione Europea ha da perderci, stiamo parlando di un grande paese europeo che cessa di essere membro dell’Ue. Devo però anche dire che in questi anni di negoziato l’Ue si è rivelata molto più unita di quanto si potesse pensare all’indomani della Brexit.
Da che punto di vista?
Molti temevano che nel negoziato col Regno Unito sarebbero emersi più gli interessi nazionali, soprattutto dei grandi Paesi come Germania e Francia, interessi che non sempre sono affini, e che questi interessi avrebbero messo i bastoni fra le ruote ai negoziati, indebolendo la posizione dell’Ue al tavolo della trattativa col Regno Unito.
E invece non è andata così?
Credo che tutto sommato le cose non siano andate così, che l’Europa abbia parlato con una voce sola. Penso che i negoziatori europei, in particolare Michel Barnier, abbiano fatto un grande lavoro per portare al tavolo della trattativa un’unica voce, da contrapporre nel negoziato all’unica voce della Gran Bretagna, già dal marzo 2017, quando venne invocato l’articolo 50 del trattato e si iniziò il primo negoziato per l’accordo di divorzio.
Dall’altra parte cosa perde il Regno Unito?
Questo è opinabile come tutto quello che ho detto finora, ma credo che il Regno Unito abbia messo in campo un peccato non voglio dire di superbia, ma un recupero di sovranità che secondo me risulterà essere anti-storico.
Ci spieghi.
C’è nel Regno Unito una specie di nostalgia per la Gran Bretagna che dominava il mondo, il grande paese coloniale, protagonista assoluto della geopolitica internazionale. Questo quadro secondo me è un po’ datato, c’è stato tutto il Novecento e soprattutto la seconda parte del Novecento, quindi pensare di riproporre una sovranità autoreferenziale delle istituzioni britanniche nel contesto internazionale è una scommessa. E temo sia una scommessa persa.
Perché?
Gli inglesi hanno sempre mostrato grande capacità di adattamento, però questa idea per cui stare dentro un’istituzione sovranazionale così forte come l’Unione Europea avesse finito per annacquare la forza delle istituzioni britanniche e che quindi andasse recuperata la sovranità britannica – tanto che la parola chiave della Brexit è stata “back”, tornare indietro, recuperare la sovranità tradizionale – ecco, io credo che questo sia stato non dico un abbaglio, ma almeno un errore di prospettiva storica. È più un guardarsi indietro che un guardare avanti.
Una tendenza che dal 2016 si è affermata non solo in Uk, ma anche in America, non crede?
Sono sempre restio a dare una visione unitaria alle cose che accadono nel mondo, come se fossero determinate da un’unica linea di tendenza. Diciamo che ci sono coincidenze, come appunto il 2016, quando è iniziata la Brexit e contemporaneamente Trump ha vinto le elezioni. Ma sono cose reversibili, tanto che 4 anni dopo ha vinto Biden, e ha vinto sulla base di una piattaforma molto diversa rispetto a quella di Trump, anche dal punto di vista delle relazioni internazionali: a cominciare dallo sfavore che sembra già aver manifestato l’amministrazione Biden rispetto alla Brexit. La tradizione politica americana degli ultimi sessant’anni, sia democratica che repubblicana, vedeva la presenza del Regno Unito nell’Unione Europea come un vantaggio anche per gli Stati Uniti. E qui c’è un aspetto paradossale della storia.
Quale?
Quella che ho appena spiegato fu proprio la stessa ragione che animò Charles de Gaulle a impedire che il Regno Unito entrasse nella Comunità europea già dall’inizio degli anni Sessanta. De Gaulle pose un veto perché temeva che l’ingresso del Regno Unito fosse una specie di cavallo di Troia per gli interessi americani in Europa. Adesso invece potremmo recuperare questo concetto, ma vedendolo a 180 gradi: l’amministrazione Biden, che dopo i 4 anni eccentrici di Trump torna a essere un’amministrazione classica – democratica ma classica –, avrebbe avuto piacere proprio di avere un Regno Unito dentro l’Unione Europea, come trait d’union tra Unione Europea e Stati Uniti.
La differenza istituzionale però dove sta?
Gli Stati Uniti hanno cambiato linea politica grazie alle elezioni, mentre la Brexit è stata generata da un referendum e dai risultati elettorali che si sono verificati dopo il referendum, in particolare quello decisivo del dicembre 2019, che hanno continuato a premiare l’idea che l’esito del referendum dovesse essere portato a termine. In particolare l’anno scorso, quando Boris Johnson, già diventato leader dei Tory, è riuscito a chiamare il paese al voto e il corpo elettorale lo ha premiato su tutta la linea. Come a dire: sono quattro anni che non ne possiamo più, il popolo ha votato e bisogna andare fino in fondo. E lui fino in fondo è andato.
Quello di oggi può considerarsi tutto sommato il migliore degli esiti possibili, visto come è iniziato tutto?
Il Brexit Day del 31 gennaio aveva sancito la fine della membership Uk-Ue. Oggi, invece di avere Uk e Ue completamente separate, per lo meno abbiamo una partnership, che è sempre meno rispetto alla membership – e con danni da entrambe le parti –, ma una volta che la decisione era stata presa era il massimo che si potesse raggiungere.
Anche perché c’è stato davvero il rischio di un no deal.
Esatto. Poi ricordiamoci che gli accordi vanno non solo implementati, ma anche monitorati. L’ha detto anche von der Leyen in conferenza stampa. Ogni 4 anni si procederà a un check del negoziato per vedere se le cose stanno andando bene. A tal proposito, una cosa che probabilmente Uk ha strappato all’Ue, e su cui Johnson ha molto insistito, è che non ci sarà la giurisdizione della Corte di giustizia di Lussemburgo nella governance dell’accordo. Quindi, qualora dovessero verificarsi dei conflitti, verranno risolti da un arbitrato terzo e indipendente.
(Emanuela Giacca)