L’ACCORDO CINA-VATICANO SARÀ RESO PERMANENTE DOPO IL 2024? GLI SCENARI
Rispetto a 6 anni fa, i rapporti attuali tra la Cina e la Chiesa Cattolica sono certamente più “idilliaci” rispetto alla quasi assenza di dialogo prima del famoso “Accordo Cina-Vaticano”: rinnovato di due anni in due anni per esplicito volere di entrambe le parti, l’Accordo Provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese è stato prorogato tanto nel 2020 quanto nel 2022, con scadenza prossima il 22 ottobre 2024. Qui il documento ufficiale del Vaticano dove vengono ribaditi tutti i diritti e doversi legati all’accordo siglato con Pechino, ma si inizia con il nuovo anno a ragionare su cosa potrebbe essere deciso entro fine 2024 con la firma sull’eventuale ulteriore proroga.
Come spiega oggi su “La Verità” Stefano Graziosi, il patto sino-vaticano potrebbe essere reso stabile dal 2024 in poi, o almeno questo è il senso del ragionamento portato avanti dalla diplomazia di Pechino e Roma in questi ultimi mesi: le nomine – non senza problemi e “storture” di alcuni vescovi – così come la presenza all’ultimo Sinodo con Papa Francesco di due vescovi della Cina continentale (mons. Yang Yongqiang della Diocesi di Zhouchun e mons. Yao Shun di Jining) fanno intendere che il rapporto tra le parti sia meno “complesso” di quanto non lo fosse prima della storica firma del Segretario di Stato Vaticano cardinale Pietro Parolin nel 2018. “American Magazine” scrive in questo nuovo anno appena cominciato che una delle questioni più importanti che Papa Francesco dovrà affrontare nel 2024 è proprio l’eventuale patto permanente da rendere fra Cina e Vaticano. «Quest’anno le due parti dovranno decidere se rinnovare l’accordo per altri due anni, renderlo permanente o apportarvi delle modifiche», riporta il media Usa.
DIALOGO, PERSECUZIONI E NOMINE: COSA SUCCEDE NEL RAPPORTO COMPLESSO TRA CINA E VATICANO
Il duplice tema da porre per la Chiesa di Francesco è da un lato la tenuta religiosa e sociale della comunità cattolica cinese, dall’altro la “vigilanza” sulle tante persecuzioni religiose che ancora si perpetrano sotto il regime comunista di Pechino. Il punto focale – osserva “La Verità” – è che la Santa Sede possa ragionare sugli effettivi vantaggi/svantaggi che potrebbe portare la resa permanente dell’accordo Cina-Vaticano. Se infatti il dialogo è proseguito, non senza problemi, in questi due anni, non si può non osservare la continua violazione dei termini stessi dell’intesa con relativa spaccatura frontale della Chiesa in Cina qualora si dovesse procedere all’accordo permanente.
«L’accordo apre la strada alla promozione dell’integrazione e dell’unità tra la Chiesa in Cina e la Chiesa universale e facilita il lavoro pastorale e per l’annuncio del Vangelo della Chiesa in Cina», spiegava lo scorso novembre Monsignor Antonio Yao Shun all’Agenda Fides, primo vescovo ordinato dopo l’Accordo provvisorio tra Santa Sede e Cina del settembre 2018. Aiutare il lavoro pastorale, favorire il dialogo e lavorare per l’unità di tutti i cristiani: questi i termini ribaditi dal vescovo Shun. Elementi però non propriamente rispettati dal regime di Xi Jinping quando lo scorso aprile ha di fatto nominato unilateralmente, senza concordare con la Chiesa di Roma, la nomina del nuovo vescovo di Shanghai e capo della Chiesa cinese, Mons. Shen Bin (poi riconosciuto solo in estate da Papa Francesco, ndr). Inoltre non è minoritaria la corrente interna alla Santa Chiesa in Cina che contesta l’accordo con il regime da parte del Vaticano: preti, laici e diaconi lamentano il controllo e le repressioni di libertà d’azione, come ad esempio l’obbligatoria registrazione presso la controversa Associazione Patriottica Cattolica Cinese (CCPA), l’organo del regime che di fatto nomina vescovi e detta le leggi ecclesiastiche.
La nomina a cardinale del vescovo di Hong Kong Stephen Chow Sau-yan durante l’ultimo Concistoro in Vaticano è stato certamente un passo avanti da parte di Papa Francesco verso un’ulteriore fase di dialogo con Pechino, così come significativa era stata la lettera inviata dal Santo Padre al Presidente cinese Xi Jinping prima del viaggio apostolico in Mongolia: «prego per la Cina», aveva scritto il Papa, ricevendo la replica di Pechino «c’è fiducia reciproca». Di contro, puntava ad ulteriori approfondimenti l’intervento sulla stampa vaticana del cardinale Parolin appena dopo lo scontro sulla nomina di Shen Bin a capo della Chiesa cinese: «Abbiamo firmato un Accordo che può essere definito storico – scriveva il segretario di Stato – che ha bisogno però di essere applicato integralmente e nella maniera più corretta possibile. Oggi abbiamo bisogno della buona volontà, del consenso e della collaborazione, che ci hanno permesso di stipulare questo patto lungimirante. La Santa Sede è decisa a fare la sua parte perché il cammino continui». Parolin però lamentava mancanza di dialogo da parte di Pechino, con la venuta meno dello spirito cardine dell’Accordo: «Francesco ha deciso di sanare l’irregolarità canonica, in vista del maggior bene della diocesi e del fruttuoso esercizio del ministero pastorale del vescovo che potrà così operare con maggior serenità per promuovere l’evangelizzazione e favorire la comunione ecclesiale», concluse il cardinale in vista di un rinnovo formale permanente che ad oggi resta un’ipotesi ma non per forza l’unica sul tavolo.