A conclusione del Cop26 di Glasgow arriva la notizia bomba, inaspettata: Stati Uniti e Cina (che non era neanche presente con una delegazione al convegno) annunciano un accordo per combattere la crisi climatica. I due paesi, che sono i massimi responsabili delle emissioni di gas serra al mondo, si impegnano a “potenziare l’azione sul clima negli anni 2020” per accelerare il “contenimento del surriscaldamento terrestre”.



Un accordo dettato dalla situazione di gravità contingente o un primo passo nel disgelo dei rapporti fra le due potenze, mai così ai ferri corti come negli ultimi anni? Secondo Andrew Spannaus, giornalista e opinionista americano, fondatore di Transatlantico.info, “si stanno adottando alcuni parametri affinché i due paesi possano impostare un dialogo che non sfoci in tensioni improvvise. Pechino e Washington hanno fatto recentemente grandi progressi anche sul piano militare”.



E la Cina, ci ha detto ancora Spannaus, “ha bisogno di uscire dall’isolamento internazionale in cui si trova da inizio pandemia, dimostrando cioè di non essere assente su temi di interesse globale”.

Un accordo a sorpresa a cui si aggiunge l’annuncio di un incontro virtuale il prossimo 15 novembre tra Biden e Xi Jinping. Cosa sta succedendo fra Cina e Stati Uniti?

Questo accordo sul clima e l’incontro tra i due leader avvengono nel contesto di un’apertura alla diplomazia e al dialogo. L’amministrazione Biden sta provando da mesi a creare le basi per un dialogo più ampio e più stabile con la Cina e si sapeva che ci sarebbe stato un incontro virtuale. L’annuncio dell’accordo sul clima lo vedo in questo contesto, cioè la Cina che comincia ad accettare le proposte di Biden.



Non sembrava così facile fino a poco tempo fa. Che cosa è cambiato?

E’ stato molto importante il progresso compiuto a livello militare, si sono susseguite varie discussioni e si sta creando una situazione di dialogo più stabile. Gli Usa insistono sulle regole internazionali, mentre la Cina insiste sulla sovranità, ma quello che si sta creando è una serie di parametri per poter discutere, evitando tensione improvvise.

Si può dire che si tratta di una vittoria dell’amministrazione Biden?

Si tratta di un maggior coinvolgimento della Cina, più che una vittoria è un passo avanti. Xi Jinping non esce dal suo Paese da 600 giorni e questo ha creato una situazione difficile per i rapporti nel mondo.  Il fatto che sia lui che Putin non siano venuti al G-20 è stato sottolineato in modo negativo da molti e dallo stesso Biden. Nella mossa di questo accordo sul clima si può notare un tentativo per uscire da questo isolamento.

A proposito di Putin, secondo diverse voci sarebbe disponibile ad aiutare Washington contro Pechino in cambio di concessioni future. Come vede lo scenario a tre fra le superpotenze?

Il processo di dialogo con Mosca è più avanti di quello con Pechino. Pochi giorni fa il New York Times ha scoperto che Washington e Mosca stanno lavorando insieme, discutendo dietro le quinte di molte cose dagli attacchi cyber all’Iran al caso Corea del Nord, cosa che noi di transatlantico.info diciamo da mesi. La stampa mainstream americana comincia a scoprirlo solo adesso o per scelta o per motivi politici.

Quindi Washington fa da arbitro tra Pechino e Mosca?

C’è sicuramente un contesto di progressi importanti. L’idea è cercare di far sì che la Russia non si avvicini troppo alla Cina,  per quanto possibile. Non sarà certamente possibile dividere i due paesi, che coltivano una collaborazione importante, ma ci saranno comunque delle tensioni prevedibili nei prossimi anni in Asia centrale e nel Medio Oriente allargato tra Russia e Cina.

A fronte dei successi internazionali di Biden, si registra invece in casa una sconfitta: il blocco del Clean Electricity Performance Program, uno dei punti più importanti e decisivi della politica ambientale Usa. Come si spiega?

L’approccio di Biden alla questione climatica  sarà per forza improntato al pragmatismo per motivi politici ed economici. La sinistra del partito non riesce a imporre i propri obbiettivi, perché devono trattare con il centro, per cui alla fine per Biden non è così importante perché c’è una diffusa idea in America che bisogna essere pratici su come si affronta la questione energetica.

Questo per non infastidire le lobby energetiche o per altri motivi?

Nessuno sottolinea l’incertezza dei modelli climatici con cui i media fanno sensazionalismo, affermando dei legami sicuri tra C02 ed eventi climatici, che in realtà non si conoscono con certezza. Ma anche se si pigliasse per buono tutto quello che viene raccontato, la realtà in tutto il mondo è che per migliorare la questione climatica l’unico modo è perseguire il progresso tecnologico, non fermare lo sviluppo economico.

In che senso?

Cina e India non sono disposti a fermare la crescita, vogliono emergere dalla povertà, non taglieranno la produzione di energia. Porre degli obbiettivi di riduzione delle emissioni è bello teoricamente, poi nella pratica bisogna vedere come funziona. La Germania esce dal nucleare e aumenta la produzione di carbone, adesso devono uscire dal carbone e aumentano il gas, per cui si dice che produce troppo metano. La follia dell’Occidente è stata, e in Italia ancor di più, vietare la discussione sull’energia nucleare. O si va avanti con tecnologie più avanzate o non si raggiungono gli obbiettivi climatici.

(Paolo Vites)

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