Se son rose fioriranno, dice un vecchio detto. E quanto sia solido l’accordo trovato intorno al nuovo statuto del Movimento 5 Stelle fra Beppe Grillo e Giuseppe Conte lo scopriremo solo vivendo. A caldo fra i pentastellati è prevalso il sollievo, perché l’intesa evita una drammatica lacerazione che molti vedevano come inevitabile, ma nessuno, in fondo, si augurava.
Esultano tutti, da Fico a Di Maio, dalla Dadone alla Taverna, in un enorme “volemose bene”, che non è detto basti per cancellare mesi di incertezze e di tensioni interne ed esterne. La grande incognita rimane l’ex premier, che in cinque mesi, da quando è uscito da Palazzo Chigi, ancora non è riuscito a prendere la guida del Movimento, che all’inizio gli era stata offerta su un piatto d’argento.
Conte ha preso tempo, ha scritto uno statuto a sua immagine e somiglianza, ha rivendicato una leadership praticamente totale. I tempi lunghi non hanno facilitato le cose, a tratti è sembrato persino pigro, incapace di rischiare. Incerto, soprattutto, se giocare interamente in proprio, se dare cioè vita a quel suo partito di cui si parla da gran tempo, sin dai tempi in cui si trovava saldamente alla guida del governo.
Più facile, par di capire, la prospettiva di prendere in mano una formazione politica esistente che, per quanto in crisi, rappresenta tuttora il partito di maggioranza relativa nel nostro parlamento. Proprio la crisi poteva consentire di plasmarla ancor di più a propria immagine e somiglianza. Per fare cosa è sempre apparso poco chiaro, sino alla partita sulla giustizia di pochi giorni fa in Consiglio dei ministri.
L’input di resistere di fronte alla riforma della prescrizione presentata da Marta Cartabia per superare le perplessità europee sulla legge Bonafede è partito proprio da Conte. E la corda si è tesa sino ad arrivare sul punto di spezzarsi. Mario Draghi avrebbe perso la pazienza e messo sul tavolo le proprie dimissioni. E il baratro della crisi sarebbe stato evitato dopo la telefonata fra Draghi e Grillo, dopo la quale anche i ministri pentastellati hanno votato a favore.
Ora, intorno all’intesa fra l’ex premier e il comico genovese si dice che sulla giustizia si può intervenire sulla proposta Cartabia in parlamento. Improbabile, però, che gli altri partiti siano disponibili. In ogni caso, l’immagine che il Movimento ha dato è quella di un imprevisto ribaltamento di parti: il descamisado Grillo alfiere di Draghi e della stabilità del governo, l’elegante professore con la pochetto nella parte del guastatore sulla stessa barricata del subcomandante Di Battista.
Nelle ore che hanno preceduto l’accordo aveva preso quota il timore che Conte puntasse a un’uscita dei M5s dal governo protetto dalla cortina fumogena del semestre bianco (che comincia il 3 agosto), quando Mattarella perderà il potere di sciogliere le Camere. Un terreno su cui, però, Letta non ha alcuna voglia di seguire quello che rimane il proprio alleato obbligato. Per il Pd dare continuità all’azione di Draghi rappresenta una priorità assoluta, pur nella difficoltà di indirizzare il governo senza una robusta sponda pentastellata.
Se davvero Conte e Grillo hanno siglato una pace solida si vedrà nella direzione che dovranno imprimente al Movimento. Prima domanda a cui rispondere: stringere davvero l’alleanza con i democratici. Le elezioni amministrative alle porte hanno sin qui fornito indicazioni fortemente contraddittorie. Un patto politico che intende opporsi al centrodestra non può presentarsi agli elettori a macchia di leopardo, in alcune città insieme, in molte altre da avversari. Senza un rapporto più solido anche la partita del Quirinale verrà dominata dall’alleanza avversa, con Renzi nel ruolo di ago della bilancia, che sembra sempre più propendere verso il centrodestra. Sono eloquenti i segnali di intesa, dal terreno della giustizia al ddl Zan, sino al reddito di cittadinanza (bandiera M5s) da ripensare profondamente, persino con un referendum.
Occhi puntati, dunque, su Conte. Saranno le sue prossime mosse a dirci quale sarà il destino del Movimento. Una formazione politica in cerca di una identità e di una missione, senza la quale il viale del tramonto sarebbe una prospettiva concreta.
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