Nel pomeriggio di ieri Donald Trump ha comunicato il raggiungimento di un accordo definito “storico”: Israele e gli Emirati Arabi Uniti riprendono ufficialmente le relazioni diplomatiche. Israele ha annunciato che rinuncerà all’annessione della Cisgiordania, la parte di terra che per l’Onu spetta ai palestinesi tra Israele e la Giordania.
Abbiamo commentato l’annuncio con Filippo Landi, già inviato Rai a Gerusalemme, che ci ha raccontato un quadro ben diverso. “Israele non ha annunciato un ritiro dei coloni israeliani già presenti in Cisgiordania, ma solo uno stop all’annessione di nuovi territori. Intanto il 30 per cento dei territori palestinesi sono di fatto sotto il controllo di Israele”. E dietro l’annuncio vede le necessità elettorali di Trump, che deve riconquistare il consenso degli ebrei moderati, più inclini a sostenere Biden. La cui vice, Kamala Harris, è sposata con un importante ebreo americano.
Trump ha parlato di un accordo storico. Sono parole adatte o è un’esagerazione?
Trump ci ha abituato a questi annunci: già nei mesi scorsi parlò di un piano per la pace in Medio Oriente, svanito nel nulla. Non è un accordo storico, ma aggiunge gli Emirati a Egitto e Giordania, i soli stati arabi che finora avevano rapporti diplomatici ufficiali con Israele. E porta con sé una sospensione dell’annessione dei territori palestinesi da parte di Israele, rendendo l’accordo politico più digeribile per gli Emirati.
A cosa mira l’annuncio di Trump?
È significativo per le elezioni Usa di novembre. Biden aveva detto alla lobby israeliana di Washington che l’annessione dei territori della Cisgiordania doveva fermarsi, e una nuovo equilibrio andava concordato coi palestinesi. Netanyahu tiene conto di questa posizione di Biden e della sua vice, Kamala Harris, che ha ottimi rapporti con la comunità ebraica americana ed è sposata con un importante avvocato ebreo–americano. Trump vuole mandare un messaggio di pace perché cerca di conquistare quell’elettorato ebraico moderato che sembrava essere pronto a votare in massa per Biden.
Che valore ha per il Medio Oriente questo accordo?
Di fatto, i rapporti diplomatici tra Israele ed Emirati erano ripresi da anni. Così come l’annessione di parti della Cisgiordania da parte di Israele continua da anni.
Netanyahu non ha parlato di un ritiro dei coloni israeliani dalla Cisgiordania. Serviva un annuncio di questo tipo per dimostrare serie intenzioni di pace?
Se Israele avesse parlato di un ritiro dalla valle del Giordano, lo avrei ritenuto un segnale forte. Il processo di annessione della Cisgiordania è già, in buona parte, avvenuto. Faccio un esempio: non è stato detto nulla su un fatto degli ultimi mesi, i nuovi insediamenti di coloni israeliani nei pressi della città di Nablus, nel nord della Cisgiordania. Queste colonie illegali, che poi diventano legali, per ora restano dove sono.
Una cosa è annunciare la sospensione, un’altra è andarsene. Si tratta di un semplice armistizio?
L’obbiettivo politico di Netanyahu ma anche del suo nuovo alleato, l’ex generale Ganz, rimane l’annessione del territorio palestinese, che già oggi Israele controlla al 30%. E Netanyahu aveva un piano che prevedeva una nuova fascia di sicurezza israeliana tra i territori palestinesi e queste colonie, penso ad esempio a Gush Etzion, che collega Betlemme a Gerusalemme. Questa ulteriore annessione avrebbe portato al controllo di Israele su un ulteriore 30% del territorio palestinese.
Hamas si è scagliato contro la scelta degli Emirati di firmare un accordo con Israele. Gli oppositori più estremisti di Israele rischiano l’isolamento?
La protesta di Hamas è scontata, ma al mondo palestinese la scelta degli Emirati non ha fatto piacere. In genere queste iniziative arrivano alla fine di un processo: se ci fosse stato un accordo di pace tra Israele e i palestinesi di Abu Mazen era logica una ripresa degli accordi diplomatici tra Israele e alcuni Stati arabi. Ma in assenza di un accordo di pace, e vista l’attuale occupazione israeliana di tutta Gerusalemme, il malumore non si ferma ai soli estremisti di Hamas, ma riguarda tutto il popolo palestinese.
La normalizzazione dei rapporti con gli Emirati Arabi può far prevedere una ripresa delle relazioni ufficiali tra Israele e Arabia Saudita?
Non la vedo vicina perché il monarca Saudita non può permettersela senza una concessione degli israeliani su Gerusalemme: cederla del tutto agli israeliani senza qualcosa in cambio avrebbe un impatto tremendo sul regime Saudita, che non è poi così stabile. Questo scenario potrebbe sbloccarsi se Biden vince a novembre, perché si riaprirebbero una serie di trattative: sulla valle del Giordano, su Gerusalemme est, sul collegamento tra la Cisgiordania e Gaza.
Come commenta l’altro annuncio di Trump, che in caso di rielezione ha promesso un accordo diplomatico con l’Iran entro 30 giorni?
Lo trovo un elemento interessante. Trump non si rivolgeva all’Iran, ma a Netanyahu, e voleva dirgli: in questa fase preelettorale gli Stati Uniti non accettano iniziative militari in Medio Oriente. Un avvertimento necessario, perché Netanyahu ha più volte cercato di convincere gli americani e i suoi stessi generali della necessità di un attacco all’Iran. Trump però in questo momento vuole trattare, non attaccare. E non si fida del disastro di Beirut.
In che senso?
C’è il sospetto che sia stato un attentato, e Washington ha mandato una squadra dell’Fbi che contribuirà ad accertare la natura della catastrofe del 4 agosto.
Quindi sull’Iran Trump sta solo facendo propaganda, travestendosi da pacifista?
Non scordiamoci che Trump ha già dato l’ok all’omicidio del comandante delle guardie rivoluzionarie iraniane, Qasem Soleimani. Un affronto che non ha ancora avuto risposta, ma l’Iran ci ha abituato a vendette che si compiono sul lungo periodo.
(Lucio Valentini)