LA CONFERMA DI NETANYAHU E DELLA JIHAD ISLAMICA: SI VA VERSO L’ACCORDO TRA ISRAELE E HAMAS
La conferma della Jihad islamica, alleata di Hamas nella guerra a Gaza contro Israele, e sopratuttto del Premier israeliano Bibi Netanyahu sono due tasselli ulteriori in più verso la storica tregua in Medio Oriente: «siamo pronti ad un cessate il fuoco prolungato», ha detto il primo ministro a Tel Aviv durante l’incontro con alcuni familiari degli ostaggi rapiti lo scorso 7 ottobre 2023. Al sì di Netanyahu per la tregua fra Israele e Hamas una condizione ribadita anche al tavolo dei negoziati, ovvero che vengano rilasciati tutti i rapiti ridotti in cattività dalla sigla palestinese da oltre un anno e mezzo.
Secondo il Premier, la trattativa per la tregua prolungata è questione di ore, «Aspettiamo la risposta di Hamas e poi può iniziare subito»: poche ore prima la Jihad palestinese aveva diffuso un comunicato che anticipa le condizioni che verranno disposte questa sera a Doha, ma si tratta di dettagli per un piano complessivo che sarebbe in dirittura d’arrivo. Secondo altri funzionari israeliani citati dall’Associated Press (che ha anche diffuso una bozza finale dell’accordo disponibile qui, ndr) Hamas avrebbe accettato l’intero pacchetto distinto in tre fasi, con le prime due di durata prevista di 42 giorni ciascuna.
VICINO L’ACCORDO TRA ISRAELE E HAMAS: ECCO LA BOZZA FINALE IN 3 FASI, COSA PREVEDE
Partendo dalla fine, fonti palestinesi hanno fatto sapere questa mattina che l’accordo tra Israele e Hamas per la tregua nella guerra a Gaza sarebbe stato raggiunto pienamente: al netto dei condizionali che restano sempre d’obbligo in una vicenda così delicata come il cessate il fuoco di una guerra in corso ormai dall’8 ottobre 2023 (l’indomani degli attacchi terroristici di Hamas nei kibbutz al confine con la Striscia), anche da funzionari israeliani presso l’AP si conferma la notizia secondo cui l’accordo di base per lo stop del conflitto a Gaza è sostanzialmente raggiunto.
Hamas ha accettato la bozza finale messa a punto fino a ieri negli intensi tavoli di negoziato tra il Qatar, l’Egitto, gli Stati Uniti (con entrambi gli emissari di Biden e del prossimo Presidente Trump) e ovviamente anche i rappresentanti palestinesi della sigla terroristica filo-Iran. La “mossa” è giunta dopo che ieri sera il consiglio di Hamas, guidato ora da Mohammed Sinwar (fratello dell’ex leader supremo, eliminato dai servizi israeliani la scorsa estate) ha fatto sapere di essere concorde a porre fine alla sanguinosa guerra in Medio Oriente. Sebbene da Gerusalemme giunge netta la conferma che in caso di accordo comunque il corpo di Yahya Sinwar non sarà consegnato ad Hamas, la restante consistente parte nei negoziati sull’accordo sarebbe stata accettata dalle parti.
I mediatori al tavolo dei negoziati hanno spinto per settimane arrivando ora ad una bozza finale quasi del tutto completata, con il superamento anche degli ultimi (ampli) nodi: l’accordo rimane in tre fasi, con 42 giorni di tregua iniziale, la liberazione di 33 ostaggi israeliani a fronte di circa 1300 detenuti palestinesi. La prima fase immediata prevede il rilascio di 50 prigionieri palestinesi (30 dei quali all’ergastolo) in cambio di ogni soldato israeliano in mano ad Hamas dopo l’attacco del 7 ottobre. Non solo, secondo le fonti della tv israeliana Channel 12, l’accordo prevede liberazione di ulteriori 30 prigionieri filo-palestinesi in cambio degli ostaggi civili ancora prigionieri a Gaza. L’IDF in questa prima fase si ritirerebbe al Corridoio di Filadelfi (tra Gaza e l’Egitto) come ultima mossa prima dell’inizio della seconda fase, 16 giorni dopo l’accordo siglato: in questo secondo step l’accordo prevede il rilascio di tutti gli ostaggi rimasti, mentre il fronte duro rimane quello nella terza fase dove bisogna disegnare il futuro a lungo termine per il controllo della Striscia. Tel Aviv avrebbe però accettato di rimpatriare quasi un milione di rifugiati palestinesi nella zona Nord di Gaza, con il controllo e la verifica di organismo internazionale gestito dall’ONU.
BIDEN, TRUMP E QATAR OTTIMISTI: LA CAUTELA È D’OBBLIGO (ANCHE PERCHÈ I MISSILI CONTINUANO)
L’annuncio sull’accordo siglato tra Israele e Hamas potrebbe giungere già in giornata, alla vigilia dell’ultimo discorso da Presidente USA di Joe Biden (domani presso il Dipartimento di Stato americano, ndr): il successo della diplomazia internazionale, dopo un anno e mezzo di fallimenti ed errori anche clamorosi, ha preso una forte accelerata dopo la nomina di Donald Trump e dopo il riaffermato legame tra Stati Uniti e Israele. In privato però la spinta della prossima Amministrazione americana, assieme a quella uscente, è quella di convincere Netanyahu che il prezzo in vite umane e caos geopolitici della continua guerra in Medio Oriente stava diventando troppo alto.
E così con la tregua in Libano si è fatta come la “prova generale” del cessate il fuoco che ora si attende molto su vasta scala nella Striscia di Gaza: «Superate le principali controversie nei negoziati», riporta il portavoce del Governo del Qatar in merito al possibile accordo che potrebbe essere siglato nelle prossime ore. È sempre Doha a non cantare piena vittoria, rilevando con il portavoce Majed al-Ansari che già nel recente passato altri accordi sono saltati in extremis per alcuni minimi dettagli. La sensazione è però che questa volta potrebbe davvero essere quella giusta, con entrambi gli staff dei due Presidenti USA che si dicono ottimisti per la buona riuscita dell’operazione.
«Siamo molto vicini a farcela, se non lo fanno ci saranno un sacco di guai là», confida Donald Trump sul proprio canale social, sulla stessa linea ribadita anche dall’Amministrazione Biden che in più con il Segretario di Stato uscente Blinken presenterà nelle prossime ore un piano post- guerra a Gaza, per quella terza fase (più delicata) dell’accordo tra Israele e Hamas. Il piano verrebbe consegnato all’Amministrazione Trump nel passaggio di consegne finali a Washington tra una settimana, ma la speranza è poterlo fare avendo già raggiunto quantomeno la prima fase di tregua a Gaza. La cautela resta sempre sovrana, anche perché missili sulla Striscia e dallo Yemen contro lo Stato d’Israele non si fermano neanche nelle ore febbrili del possibile accordo: la destra israeliana di Ben Gvri e compagnia spinge per non accettare l’accordo, minacciando dimissioni nel caso. Tutto già visto e sentito, ma la spinta ora internazionale per una tregua potrebbe spuntarla sui delicati equilibri interni del Gabinetto di guerra…