Continua la politica di apertura diplomatica di Israele nei confronti dei paesi arabi. Dopo gli accordi con gli Emirati Arabi e il Bahrein è la volta adesso del Marocco. In realtà, come ci spiega in questa intervista Gian Micalessin, inviato di guerra de Il Giornale, il paese nordafricano è una anomalia nel mondo islamico. Moderato in politica estera e rispettoso dei diritti civili delle minoranze religiose, quasi del tutto risparmiato dal fondamentalismo islamico, “l’apertura di rapporti ufficiali tra i due paesi è solo la formalizzazione di qualcosa che esisteva sotto banco da sempre, un rapporto privilegiato tra Israele e Marocco che non incide più di tanto sul mondo islamico”. Inoltre, aggiunge Micalessin, “si tratta di un accordo fortemente voluto da Trump, che in questo modo mira a lasciare la Casa Bianca in modo trionfale”.
L’avvio di relazioni diplomatiche tra Israele e Marocco significa davvero qualcosa o è solo una mossa strategica e propagandistica, vista la natura moderata del paese nordafricano?
È più apparenza che un vero e proprio accordo diplomatico. Anche se sotto traccia, da sempre, gli israeliani viaggiavano e facevano accordi con il Marocco senza problemi. È la formalizzazione di un dato di fatto. Il Marocco è sempre stato molto attento, tra i paesi islamici, a presentarsi moderato in politica estera, rispettoso dei diritti delle minoranze anche religiose. Insomma, è qualcosa che già esisteva. Bisogna però ricordare un dato importante.
Quale?
A spingere verso questa ufficializzazione sono stati gli americani, che in cambio di questo accordo hanno garantito al Marocco le rivendicazioni sul Sahara occidentale, l’ex colonia spagnola che da anni rivendica l’indipendenza e dove si è combattuta una guerra. Questa ufficializzazione ha infatti fatto infuriare gli esponenti indipendentisti del Sahara occidentale e si potrebbe riaprire uno stato di guerra.
Insomma, una manovra pro-Usa?
È l’America di Trump. L’ex presidente sta mettendo tanta carta al fuoco sostanzialmente per fare una uscita trionfale dalla Casa Bianca e poter dire: guardate, questi sono tutti risultati che ho ottenuto io.
Tornando a Israele, la sua politica di apertura ai paesi islamici continuerà? Quali altri paesi arabi potrebbero accettarla e come sta influendo sulla scena mediorientale?
A parte la Turchia, dove Erdogan ha ovviamente criticato l’accordo con il Marocco, l’altra grande incognita è cosa farà l’Arabia Saudita: un accordo con Israele sarebbe un passo rivoluzionario.
Da tempo i due paesi hanno stretto un rapporto di forte dialogo. Lei pensa che sarà possibile?
Le premesse ci sono. Gli aerei militari israeliani hanno ottenuto il permesso di sorvolare l’Arabia in caso di attacco all’Iran. Il capo del Mossad è andato più volte in Arabia e anche Netanyahu, seppur non in veste ufficiale. Ma è un tema molto delicato.
Per via del fatto che l’Arabia è la custode ufficiale dell’islam?
L’Arabia Saudita è il paese wahhabita per eccellenza, l’islam più rigoroso. Chiaramente i capi religiosi sono molto intransigenti e difficilmente potrebbero digerire un accordo con Israele. L’attuale erede al trono saudita, che di fatto già decide il destino del paese, sarebbe pronto ad aprire, offrendo in cambio ai capi religiosi una strenua lotta all’Iran, che nella loro ideologia è considerato ancor più nemico degli ebrei, perché gli iraniani rappresentano una sorta di scisma all’interno del mondo islamico, quindi dei traditori. Esattamente come faceva lo Stato islamico, che si richiamava anch’esso al wahhabismo, gli sciiti erano i nemici peggiori. L’erede al trono saudita deve fare quindi fare i conti con i capi religiosi.
E il Marocco quanto conta sullo scenario libico?
Non si muove apertamente, ma ricordiamo che i recenti accordi di pace e le varie conferenze con le due parti si sono tenuti proprio in Marocco. Sicuramente influisce mantenendosi super partes, ma va detto che il Marocco è molto vicino all’Egitto e ai paesi arabi che sostengono Haftar.