Era scontato il sì del Consiglio dei ministri al disegno di legge per la ratifica dell’accordo con l’Albania sui migranti. Per Giorgia Meloni e il governo il difficile verrà dopo un ok delle Camere, che non sembra in discussione. Riuscire a far funzionare o meno l’intesa è il passaggio fondamentale, ne va della credibilità interna e internazionale della premier. Perché siamo in terra incognita, nessun Paese ha mai tentato niente di simile, e l’eventualità che l’intesa firmata con Edi Rama si riveli un fiasco non è da sottovalutare.



I rischi di illegittimità sono concreti, quindi Palazzo Chigi ha scelto la via della cautela. Ha ceduto quasi subito alle pressioni dell’opposizione, accettando di sottoporre al vaglio del Parlamento un accordo che forse non aveva neppure bisogno di ratifica. Ma in questo modo punta a cristallizzare uno strumento legislativo che non si possa abbattere per semplice via amministrativa da parte dei magistrati. Nella stesura poi ci sono una serie di accorgimenti aggiunti strada facendo: nei centri albanesi per l’esame delle richieste di asilo potranno essere condotti solo i migranti che sono stati raccolti in acque internazionali, non quelli già arrivati nelle acque italiane, o maltesi, perché scatterebbero inesorabili le regole europee. E i colloqui con i legali per il riconoscimento dell’asilo potranno avvenire online, così come le udienze con i magistrati chiamati a decidere. Le due aree albanesi previste per le operazioni, si legge nel testo, saranno assimilate ai CPR, o agli hotspot, quindi. Pur restringendo l’ambito di applicazione, l’obiettivo sembra evidente: trattare le domande dei migranti in maniera più agevole, riducendo la possibilità di fuga e di circolazione sul territorio nazionale.



Non è detto che questa costruzione giuridica regga alla prova delle aule di tribunale e dei probabili ricorsi davanti alla Cassazione e alla Corte Costituzionale. Ma gli esperti del Governo hanno provato a costruire una linea di difesa il più possibile robusta.

Del resto, la via intrapresa da Giorgia Meloni ha suscitato molte più critiche sul piano interno che su quello internazionale, dal momento che la premier italiana ha trovato quella disponibilità di un Paese terzo che altri leader, come il britannico Sunak, stavano cercando. La cautela nei giudizi del cancelliere tedesco Scholz è in questo eloquente: al di là delle critiche che si possono muovere sul piano morale, se il meccanismo dovesse funzionare, è probabile che altri Paesi seguirebbero l’esempio italiano. Non si dimentichi che in Europa si è parlato tante volte negli anni passati di esaminare le richieste d’asilo in Paesi terzi, salvo il fatto che s’immaginava questo potesse avvenire in Africa, non in una nazione europea, per di più candidata all’ingresso nella Ue. Anche la presidente del Parlamento Europeo, Roberta Metsola, proprio ieri, nel corso della sua visita in Calabria, ha detto che affrontare il nodo della gestione dei flussi migratori parlando con Paesi terzi in linea di massima è positivo.



È naturale che il fuoco di sbarramento dell’opposizione anche ieri si sia concentrato sullo strumento scelto, con le critiche alle correzioni apportate rispetto alle prime bozze dell’accordo circolate, che hanno stemperato il testo. Ma se il Pd stigmatizza l’accordo con Tirana come l’ennesima operazione propagandistica della Meloni, è la risposta del ministro degli Esteri Tajani a essere indicativa. Il titola della Faranesina, che è anche il leader pro tempore di Forza Italia, ha stoppato l’opposizione dicendo che l’intesa sui migranti costa assai meno dei disastri fatti ai conti pubblici con il Superbonus. Poco conta che gli ordini di grandezza siano incommensurabili fra di loro. Il dato politico è la ribadita compattezza della maggioranza. Al netto delle dinamiche da campagna elettorale per le europee (che sta incendiando assai più il centrodestra del centrosinistra) la vera sfida per il governo sarà passare dalle parole ai fatti.

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