Intesa raggiunta sui commissari europei Ribera e Fitto. L’accordo è stato siglato in tarda serata nelle commissioni competenti, dopo un nuovo stallo. I popolari hanno detto sì a Teresa Ribera e i socialisti hanno dato il via libera a Raffaele Fitto, entrambi commissari e vicepresidenti esecutivi di Ursula von der Leyen. Rimangono le reciproche riserve: Ribera dovrà lasciare la vicepresidenza se finirà sotto inchiesta per la tragedia di Valencia, così hanno chiesto e ottenuto i popolari; mentre i socialisti e i liberali hanno ottenuto che venisse recepito, in un addendum non vincolante, il loro disaccordo sulla vicepresidenza per Fitto, del quale hanno chiesto l’“indipendenza” dal governo italiano.
Ora sarà la plenaria dell’europarlamento, il 27 novembre, a sancire il varo della seconda Commissione von der Leyen. Al patto di coalizione tra popolari, socialisti e liberali (maggioranza Ursula) si aggiungerà, ha dichiarato ieri la Meloni, il voto favorevole di FdI, mentre Ecr manterrà libertà di voto.
Tutto risolto? Non proprio. Il balletto di tatticismi al quale abbiamo assistito in questi giorni non deve distrarci dal fatto che le élites europee sono sempre più in crisi, sostiene Agustín Menendez, docente di diritto pubblico comparato e filosofia politica nell’Università Complutense di Madrid.
Professore, l’accordo sulle poltrone di Ribera e Fitto è stato raggiunto. Partiamo da qui.
Le elezioni al Parlamento europeo si sono svolte la seconda settimana di giugno. Più di cinque mesi fa. Siamo alla fine di novembre. Non è la prima volta che succede una cosa simile.
Non sono i tempi della democrazia?
Mi pare incontestabile che questa lentezza dell’ingranaggio politico europeo è il risultato della complessità di un’Unione a 27. Ma anche, e voglio sottolinearlo, dell’inadeguatezza delle élites europee. Si pensi alle crisi economiche, politiche e culturali che attraversano molti Paesi europei, in primis Germania e Francia. Crisi dalle radici strutturali, ma aggravate da decisioni sbagliate.
Come mai è stato così complicato?
Quando il mondo è sull’orlo del baratro, cosa fa un certo ceto politico europeo? Si diverte a dare prova di dilettantismo.
Per capire il meccanismo dei veti e dei contro-veti che ha bloccato la trattativa europea dobbiamo andare in Spagna. Ci spiega cos’è successo?
In Spagna abbiamo un sistema di federalismo cooperativo nel quale la competenza in materia di protezione civile spetta alle regioni. Il governo regionale valenciano, con il presidente Mazón in testa, aveva l’obbligo di gestire la situazione. È ormai evidente che non l’ha fatto in maniera adeguata. Il trasferimento della competenza allo Stato centrale è previsto nella legge quando la catastrofe incide su diverse Regioni, o se la Regione lo richiede. Questa richiesta non c’è stata, e anche di questo è responsabile Mazón. Quindi non sorprende che oggi, sulla base delle dichiarazioni del presidente del Partito Popolare spagnolo, Mazón sia un morto che cammina. Ma il suo futuro politico è forse l’ultima delle sue preoccupazioni.
Possibile?
Mazón rischia di finire davanti ai giudici penali per inadempienza nelle sue funzioni, con l’accusa di omicidio colposo e omissione di soccorso. Fino ad oggi la ministra valenciana dell’Interno e delle emergenze, Salomé Pradas, gli è servita come “parafulmine”, ma adesso ha dovuto dimissionarla. I telefonini di Mazón e di Pradas contengono informazioni decisive per sapere chi dei due è direttamente responsabile, in senso penale, dell’inazione durante le ore decisive.
E la Ribera?
Gli elementi di fatto che abbiamo sull’operato delle istituzioni dipendenti dal ministero di Ribera sono chiari. L’agenzia meteo e la Confederazione idrografica dello Júcar (CHJ) hanno agito applicando i protocolli. Questo ha consentito che parecchi sindaci, e anche il rettore dell’Università di Valencia, reagissero in anticipo, mettendo in salvo tantissime persone. Questi sono i fatti. Un’altra cosa sono le strategie di comunicazione politica.
Su queste cosa possiamo dire?
Qui Ribera ha fatto un errore madornale, quello di non dimettersi dal Governo quando è diventata candidata al Parlamento europeo in aprile.
Manfred Weber ha dato corda agli esponenti del PP spagnolo. Ovviamente era consapevole di mettere a rischio la maggioranza che sostiene von der Leyen. Perché lo ha fatto?
Ci sono diverse chiavi di lettura della mossa di Weber. È un po’ paradossale che, mentre la polemica su Fitto è stata letta in chiave italiana e quella su Ribera in chiave spagnola, la posizione di Weber non sia stata interpretata, né in Italia né in Spagna, in chiave tedesca.
Ma non stiamo parlando della nuova legislatura europea?
Se guardiamo solo il parlamento europeo rischiamo di dare troppa importanza a movimenti puramente tattici, che per di più sono noti solo agli addetti ai lavori, e soprattutto sono sintomo della frivolezza che dicevo all’inizio.
Qualcuno ha accusato la capogruppo socialista a Strasburgo Iratxe García Pérez di avere esagerato nel proteggere la Ribera in Ue a tutti i costi. È così?
Insisto: non sopravvalutiamo le mosse tattiche a corto termine. Queste querelles fra eurodeputati sono essenzialmente irrilevanti. E poi sarei sorpreso se più dell’1 per cento degli spagnoli sapesse chi sono Weber e Iratxe García.
Torniamo al punto. L’intesa c’era ed è saltata, poi è stata nuovamente trovata.
C’è un’altra maggioranza possibile a corto termine? Mi sembra di no. Nel lungo periodo invece saremo tutti morti, come diceva Keynes.
Dopotutto, i socialisti non hanno ragione di dire che lo sbilanciamento di von der Leyen verso la destra di ECR è un tradimento degli accordi di giugno? La Meloni ha garantito in segreto a von der Leyen i voti che ufficialmente le ha negato. E non siamo i soli a dirlo.
Votando questa Commissione tutti perdono qualcosa, ma pensano di subire una perdita maggiore se una nuova Commissione non viene nominata. Tutt’altra cosa è cosa possa succedere nei prossimi mesi, con diverse “scadenze” fondamentali per il futuro politico, sociale ed economico dell’Europa. A cominciare, appunto, delle elezioni tedesche. Sarà anche interessante vedere come viene ridefinito l’atlantismo “militante”, nell’era non tanto di Trump, quanto di JD Vance.
La vera questione è che non si può fare un Green Deal suicida come quello del tandem von der Leyen-Timmermans 2019-2024. Possono riuscirci Ribera e Fitto?
Rischiamo di concentrarci troppo su questo o quell’albero e di non vedere la foresta. Ci sono importanti differenze, ma anche convergenze. La “maggioranza Venezuela” che sostiene la Commissione von der Leyen 2 è atlantista in politica estera e draghiana in politica economica. È l’identità di quello che possiamo chiamare l’estremo centro europeo, del quale adesso fa parte anche Meloni. Detto questo, mi permetta di aggiungere che l’European Green Deal aveva senza dubbio tanti difetti, non ultimo quello di ignorare la ridistribuzione della ricchezza operata da certe politiche, inclusa quella ambientale. E si è fatto greenwashing penalizzando i meno abbienti. Ma questo non toglie il fatto che siamo davanti a sfide colossali.
Si riferisce al nostro modello di sviluppo?
Sì. Dalla lettera Mansholt a Malfatti del 1972 son passati più di cinquant’anni. Da allora dovremo essere consapevoli della tensione fra un modello economico, sia esso capitalistico o di comunismo più o meno “reale”, che punta alla crescita infinita, e la fragilità della terra e delle nostre vite. Con o senza Timmermans, questa sfida è ben reale. Si pensi alla Dana a Valencia. Il fenomeno in sé non è per niente nuovo, ma la frequenza, intensità e durata lo sono. E sono collegati con i 30 gradi di temperatura del Mediterraneo ad agosto, che sono tutto meno che “normali”.
Eppure il peso delle emissioni di CO2 su scala globale della Cina rispetto a quelle europee parla chiaro. Lo stesso vale, in proporzione inversa, per quanto riguarda la capacità produttiva di batterie al litio. Non è con l’etica della convinzione che si fa politica.
Magari fosse possibile ragionare in termini così dualistici. Purtroppo, l’ambiente è la base ineludibile dell’attività economica. Pensiamo, per esempio, alle assicurazioni. Fondamentali anche a Valencia, dove una parte considerevole della ricostruzione sarà possibile grazie ai compensi pagati dalle compagnie di assicurazioni. Però, probabilmente, il prezzo nelle zone del Mediterraneo spagnolo salirà fortemente dall’anno prossimo in poi, e in tanti casi diventerà impossibile assicurarsi. Quale sarà l’impatto? Certamente avrà una ricaduta pesante sull’attività e la ricchezza economica. La sfida, insisto, è enorme, precisamente perché la soluzione non è tecnologica, ma passa per un cambio fondamentale dello stile di vita. La tentazione in questi casi è sempre quella di fare i “portoghesi”. Capisco la domanda, ma la mia osservazione non ha un fondamento emotivo o morale soltanto, ma strettamente economico.
Prendiamo le prossime “scadenze” che lei ha citato. O l’inchiesta vaccini. E se questa Commissione saltasse? Qualcuno dice che arriverebbe Draghi.
Ho sentito dire a uno spin doctor inglese che un promettente conservatore britannico, potenziale futuro premier, non ce l’aveva fatta perché incapace di “assassinare” politicamente il primo ministro. Alle volte questi “assassini” rituali avvengono per interposta persona, però non sono sicuro che Weber sia disposto a giocare la parte di Renzi a livello europeo. In ogni caso, lascio agli scommettitori valutare le chances di Draghi. Per averne davvero, forse dovrebbe muoversi con più finezza di quando aveva il Quirinale a portata di mano.
Che cosa può fare questa Europa in un mondo dove Trump torna alla Casa Bianca, Biden dà l’ok all’impiego di missili Atacms contro la Russia e Putin continua ad aggiornare la dottrina nucleare russa?
Il polverone Ribera-Fitto ha distratto tutti dall’ascoltare con la dovuta attenzione le parole di Kaja Kallas in audizione, invece di discettare se Fitto sia o no un vero “fratello d’Italia” o un cripto-democristiano… L’ex primo ministro estone ha ripetuto la necessità di combattere contro la Russia fino all’ultimo ucraino. Questa linea era tragicamente sbagliata due anni fa, ma adesso dimostra fino a che punto certi leaders europei, e non solo, stiano troppo comodi nella realtà parallela che si sono creati. Ed è veramente preoccupante, perché il rischio di un incidente nucleare non è minore.
Per molti anni abbiamo pensato che il gran ballo dell’Unione Europea finisse a causa della sua architettura disfunzionale e della sua costituzione economica, euro compreso. E se invece finisse in un altro modo?
Nel lontano 1988, il politologo Fritz Scharpf sottolineò il problema della tensione tra democrazia e legittimità in tutti i governi federali, e parlò della “trappola della decisione comune”, specialmente rilevante nel caso europeo. Non soltanto questo dilemma è ancora vigente, ma la situazione europea è ancora più complessa. Affascinati da uno strano miscuglio di neoliberismo e ordoliberismo, per trent’anni abbiamo rinunciato all’azione comune, si pensi alla politica economica, industriale in particolare, e abbiamo sperato che la concorrenza fra Stati, fatta di “mercato unico” e “moneta unica”, ci portasse alla felicità universale. Direi quindi che i difetti della costituzione economica europea sono strettamente collegati ai difetti delle istituzioni e delle procedure di decisione europee.
C’è ancora tempo?
Abbiamo avuto trent’anni per affrontare i problemi, adesso rischiamo di essere fuori tempo massimo.
(Federico Ferraù)
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