Ci ha pensato Franco Bernabè – forse l’italiano più titolato a parlarne – ad avvertire subito addetti e osservatori che il Grande Accordo Tim-Cdp sullo sviluppo delle reti tlc di nuova generazione nel Paese non è che il semplice inizio di una partita molto complessa. E l’esito del percorso abbozzato fra poteri pubblici, grandi player industriali e mercato finanziario – ha detto a caldo a Repubblica – “non è affatto scontato”. Il mercato stesso ha reagito in tempo reale: il rally in Borsa di Tiscali (ieri +40%, per quanto a partire da una quotazione centesimale) ha confermato quali interessi ruotino attorno a un piano pubblico che in concreto è destinato a muoversi sulle gambe di soggetti privati, in alcuni casi quotati. E se la voce di Bernabè (amministratore delegato di Telecom-Tim ai tempi dell’Opa di Colaninno & C. appoggiata dal Governo D’Alema e poi una seconda volta fra il 2007 e il 2013) rammenta di per sé un’intera “lunga marcia” iniziata con “la madre di tutte le privatizzazioni italiane”, Tiscali riporta al tavolo del risiko tlc il nome di Renato Soru: lui pure carico di annali fra Nuova Economia e Nuova Politica nella Seconda Repubblica.
Il finanziere sardo è stato uno dei pionieri dell’ingresso dell’Italia nell’era di Internet e l’originaria Tiscali è stata uno dei titoli simbolo in Piazza Affari della febbre globale dei listini dot.com. L’Ipo di Tiscali in Borsa – nell’ottobre del ’99, poco dopo la vittoriosa scalata della “razza padana” a Telecom – è stata un caso assoluto: i 46 euro del prezzo di collocamento erano già diventati 73 alla sera del primo giorno di quotazione e si gonfiarono fino a 1.197 euro nell’arco di sei mesi. Ma a fine 2000 – scoppiata la bolla web nelle Borse di tutto il pianeta – il titolo era già ricaduto a 15 euro. Non per questo Soru e la sua società sono stati meteore, anzi.
Con i mezzi raccolti dall’Ipo, Tiscali promosse subito il consorzio Andala. E partner co-fondatore fu proprio Bernabè: appena uscito da Telecom e divenuto banchiere d’affari. Andala divenne la testa di ponte italiana del colosso cinese Hutchison Whampoa: e “H3G” fu una delle vincitrici dell’asta multimiliardaria per le frequenze Umts (primo web “accelerato”) in Italia. Il gruppo “3” è infine confluito nel gigante Wind, oggi controllato dal conglomerato anglo-cinese CK Hutchison. WindTre è oggi – con Vodafone e Sky – al tavolo del Grande Accordo Tim-Cdp: con un atteggiamento aperto, ma sempre preoccupato che il piano italiano delle reti costruisca a un effettivo “terreno di gioco livellato” fra tutti i concorrenti sul mercato nazionale.
Nel frattempo Tiscali – con Soru ininterrotto azionista di riferimento e oggi di nuovo Ad – sarà a bordo del progetto Fibercop, il nuovo contenitore ultrabroadband della rete secondaria Tim. In esso è previsto l’ingresso di Fastweb (ultima erede di eBiscom, co-star di Tiscali nella stagione d’oro della New Economy) oltre al mega-fondo Usa Kkr. Tiscali – data dai rumor di Borsa in lizza per un ruolo azionario in Fibercop – ha già formalizzato con Tim un accordo di partnership industriale. Soru ci arriva peraltro non senza aver accumulato una lunga digressione di impegno politico.
Il patron di Tiscali è stato eletto dapprincipio presidente della Regione Sardegna: imponendosi nel 2004 alla testa di una coalizione “Ulivo” capeggiata dagli allora Ds e dalla Margherita. Mentre è in carica. rileva inizialmente l’Unità, quotidiano in crisi eredità del Pci dopo la nascita del Pd. Soru, comunque, a Cagliari non conclude il mandato: si dimette per protesta contro lo stallo di una normativa urbanistica e si ricandida per la riconferma nel 2009, ma senza successo. Torna a Tiscali, ma nel 2014 viene eletto europarlamentare per il Pd (di cui è segretario regionale in Sardegna). Subisce una condanna in primo grado per reati societari e fiscali, ma viene infine assolto nella primavera del 2019. Non si ricandida per Strasburgo e riassume i poteri di Ad di Tiscali.
Dai tempi del sodalizio Andala, neppure Bernabè è rimasto con le mani in mano (ha appena pubblicato un libro di memorie “A conti fatti. Quarant’anni di capitalismo italiano”). Tralasciando un fitto palmarès di incarichi internazionali (rappresentante del Governo per il Kosovo, Presidente della Biennale di Venezia, della Quadriennale di Roma e della commissione italiana dell’Unesco), è sempre stato possibile trovare l’ex Ad Eni a crocevia strategici di grandi affari, con un forte orientamento all’information & communication technology. I sei anni trascorsi al vertice Tim per conto di Telco (Mediobanca, Generali, Intesa Sanpaolo, gruppo Benetton e Telefonica de Espana) sono stati certamente il nerbo di una lunga stagione recente: non fosse altro perché il suo inizio coincide con il primo tentativo di scorporare la rete Tim presso Cdp (“piano Rovati”, durante il governo Prodi-2).
Bernabé lascia il vertice dell’ex monopolista pubblico delle tlc in Italia all’avvio di una fase d’incertezza: contraddistinta soprattutto dall’avvento della francese Vivendi (in scalata gemella anche su Mediaset), fermata infine dall’ingresso della stessa Cdp, decisa ai tempi supplementari dal Governo Gentiloni. A lungo in predicato di tornare al timone di Tim come figura di garanzia, il 72enne Bernabé (allevato in Fiat, che lo chiamò in Telecom nel 1998) resta ancora on the market. È stato fino a un anno fa presidente di Nexi, la più importante realtà fintech italiana, specializzata nei pagamenti digitali. Dal giugno 2019 è presidente di Cellnex Telecom, gigante spagnolo delle torri tlc in Europa, di cui Edizione (Benetton) è primo azionista.
Bernabé e Soru non sono gli unici nomi-boa capaci di segnare le rotte nella porzione italiana del mare delle tlc, improvvisamente agitata dal Grande Accordo Tim-Cdp. Fra politica e mercato. Senza esiti predefiniti.